Millo a Torino

    L’ultima volta che avevamo chiacchierato con Francesco Giorgino (in arte Millo) era stato quasi tre anni fa. Allora era ancora una architetto con la passione per l’arte e stava muovendo i primi passi della sua carriera artistica. Oggi Millo vanta alle spalle progetti prestigiosi, grandi interventi pubblici, mostre collettive e personali, un portfolio artistico che lo rende uno degli artisti da tenere sotto’occhio nella street art italiana ed europea.

    In particolare, ci sembrava molto interessante il progetto che lo ha visto coinvolto in prima persona a Torino dove, tra le strade del quartiere di Barriere di Milano, campeggiano ora ben 13 suoi murales.

    Incuriositi da questo che ci sembra essere uno degli interventi di arte pubblica più complessi e ambiziosi realizzati ultimamente in Italia, siamo andati a Torino, città con un passato nobilissimo e articolato nella street art.

    Abbiamo passato una mattinata a camminare tra le strade di questo quartiere popolare di Torino, unici “turisti” che si spostavano col naso all’in su in una quasi deserta mattinata festiva di gennaio.

    Una volta tornati, abbiamo approfittato di una temporanea pausa di Millo a Pescara per incontrarlo e fargli alcune domande su questo e altri progetti.

    ——————————————————————————————————-

    L’ultima volta che ci siamo visti è stato circa tre anni fa, stavi iniziando la tua carriera da artista e facevi anche l’architetto. Cosa è successo da allora?

    Da allora come architetto avrò fatto forse una pratica al catasto e una relazione asseverata di conformità. In compenso la mia attività di artista è andata avanti. Devo dire che la perseveranza paga.

    C’è stato qualcosa che ti ha dato la fiducia per dedicarti all’arte?

    Sicuramente è stato il mio viaggio a Londra. Ci sono stato due volte ed è stato illuminante. Ho lavorato tantissimo, dalla mattina alla sera ma così ho avuto modo di capire come funziona lì il sistema della street art. Perché si tratta di un sistema, una vera e propria macchina oliatissima, in cui ognuno ha un ruolo specifico e si dedica al 100% a quello.
    Dall’artista al gallerista fino alla guida turistica, ognuno lavora per far funzionare questa macchina che influenza, grazie alla rete, non solo il mercato inglese ma anche quello mondiale.

    Ci puoi raccontare come è andata?

    Avevo già fatto una serie di cose in Italia e, un bel giorno, la Hoxton Gallery in Kingsland Road a Londra, mi manda una mail, dicendosi interessata al mio lavoro. All’inizio pensavo fosse uno scherzo, ho aperto Google map e ho controllato che fosse vero, e così ho scoperto non solo la sua esistenza, ma anche la sua posizione centrale nel cuore di Shoreditch, la culla della street art londinese, posto di cui fino al giorno prima leggevo solo sulle pagine d’arte.
    Quando sono arrivato a Londra i miei lavori erano già pronti per essere esposte e, invece, il gallerista poco dopo il mio arrivo, mi ha lasciato davanti a una porta dicendomi: ”Wanna do it?”
    Dalla porta, sono passato a una saracinesca e poi ad un muro. La cosa è pazzesca perché appena ho finito il primo murales la notizia si è sparsa su internet e si è creata già una forte attesa per la mia mostra.
    C’è una tale attenzione a quello che succede sulla strada che, in pratica, i murales sono il modo migliore per farsi conoscere o comunicare l’apertura di una mostra o di un evento.  Anche per questo c’è un rapidissimo ricambio di opere e artisti e i murales durano il tempo di qualche ora. Non è raro, infatti, trovarsi il muro ‘crossato’ e il giorno dopo notare che qualcuno ci ha già dipinto su. Fa parte del gioco, lo sai e l’accetti, come sai che anche se il tuo disegno è stato lì solo per qualche ora, il fatto che fosse a Shoreditch gli ha garantito una visibilità mondiale.

    Vale più la foto su Instagram del muro vero e proprio?

    In contesti come Shoreditch a Londra o Krutzberg a Berlino, che sono praticamente delle gallerie di street art a cielo aperto, la condivisione in rete ha un effetto mediatico incredibile.
    La macchina oliata di cui ti parlavo prima, ha anche lo scopo di ridurre l’illegalità dei pezzi, fenomeno che comunque è fortemente impattante in quasi tutte le città del mondo, Londra inclusa. Semplicemente attraverso vie più legali, i lavori iniziano ad avvicinarsi al centro delle città e questo comporta una maggiore visibilità per l’artista, sia mentre è all’opera che a lavoro ultimato. Non è certo una cosa strana a Londra attraversare la strada e trovare un capannello di persone intente a fotografare magari proprio il tuo lavoro, ed è proprio questo modo di fare, questa attenzione, questa curiosità che permettono poi alla tua arte di avere un feedback maggiore.
    C’è anche chi lo fa per mestiere, diverse volte mi è capitato di essere fotografato all’opera, e di aver scoperto, dopo online, che quel ragazzo che scattava, era il fotografo di una rivista o di un blog di arte. Lo ammetto, internet è un ottima piscina, ma se l’opera in sé non trasmette emozioni, si resta sempre sul bordo.

    In questo pensi sia stato fondamentale il successo di Banksy?

    Certamente ha contribuito. Ora gli stessi proprietari dei muri sono molto più ben disposti a farti fare qualcosa perché sperano che anche se oggi sei sconosciuto un giorno potresti essere il nuovo Banksy e potranno rivendersi quel pezzo d’intonaco e guadagnarci un bel po’ di soldi.
    Però la conseguenza è anche che il livello si è alzato tantissimo. C’è una tale concorrenza e un tale numero di gente brava che l’idea provocatrice o geniale non basta più, è necessario essere preparati anche tecnicamente.

    La mostra come è andata?

    La mostra è andata molto bene, sono state davvero tante le persone interessate, sia colleghi di lavoro come Stick, Hunto, Run, Hin che tanti appassionati.
    Ho notato con grande piacere che a Londra chi compra arte non è necessariamente un collezionista o un facoltoso investitore. Tante opere sono state vendute a giovani coppie che avevano la possibilità di investire in ciò che amano, diciamo un po’ tutto il contrario di quello che accade da noi. Ma ovviamente credo sia andata così per una attenzione culturale maggiore verso ciò che è l’arte in sé e non solo per un migliore rapporto con il portafoglio.

    Che insegnamenti hai portato con te da questa esperienza?

    Per emergere in questo campo è necessario essere perseveranti ed avere una dedizione assoluta. Questo è valso per me come anche, per esempio, per Benjamin Murphy, talentoso artista che poi ho portato qui a Pescara con il progetto Stride. È un ragazzo giovanissimo, appena ventiquattrenne, una vera macchina da guerra! Ogni giorno si svegliava alle 6.30 del mattino e fino a sera lavorava ai suoi disegni. Questa è la dedizione di cui ti parlo, una sorta di “urgenza” comune, non solo a quelli alle prime armi, e che vogliono emergere, ma anche a quelli che sono già affermati. Una specie di etica da operaio stacanovista che mette tutte le proprie energie nel lavoro.

    Una volta tornato in Italia, cosa hai fatto?

    Ho lavorato al progetto Stride, come ti dicevo, ho fatto un sacco di cose tra cui alcuni festival importanti come Memorie urbane a Gaeta, una mostra legata al design a Milano, una vendita di beneficenza a Ibiza e, poi, mi sono trovato a lavorare al progetto B.ART, Arte in Barriera, a Torino.

    Si trattava di un concorso, ci racconti come si è svolto?

    Ho saputo del bando per caso, proprio mentre ero a Ibiza per questa asta di beneficenza. Ho scaricato il bando dal sito del comune e in cinque giorni ho preparato la mia proposta. In realtà ho impiegato due giorni per i bozzetti e il resto del tempo a riempire tutti i documenti per la parte burocratica. Fino alla fine ci sono stati problemi, anche con il corriere, perché il plico doveva avere un mittente anonimo, pena l’esclusione. Dopo vari tentativi, ho spedito il pacco che è arrivato giusto in tempo entro l’ora massima.

    In questo ti sarà stato d’aiuto tutta la tua esperienza a fare concorsi di architettura?

    In realtà no, perché in studio ero quello che faceva le sezioni o le tavole, era sempre qualcun altro, generalmente il boss, che si occupava di tutte queste faccende burocratiche…

    E poi quando hai saputo che avevi vinto?

    Veramente me ne ero quasi dimenticato del concorso, ho fatto tutto di corsa nei giorni di agosto e non ci avevo più pensato. La notizia della vittoria è arrivata veramente inaspettata.
    Il concorso prevedeva due giurie: la prima era costituita da una commissione di esperti, tra cui Michele Zini e Marianna Vecellio, la seconda era, invece, ‘popolare’ e ne facevano parte rappresentanti dei condomini coinvolti dai murales, associazioni di quartiere, associazioni di commercianti e altri ancora.

    Il concorso prevedeva ben 13 murales all’interno del quartiere Barriera di Milano a Torino. C’è un filo conduttore che lega i diversi disegni?

    Il titolo/tema che ho dato è Habitat, nel senso di ambiente di vita, di spazio in cui vivono, lavorano, si incontrano persone diverse, culture, esperienze. Ogni disegno ha delle forti corrispondenze con gli altri soprattutto a livello di linguaggio, di poetica, ma non c’è una narrazione o racconto che li colleghi direttamente uno all’altro.

    Quanto tempo hai avuto per portare a termine il tutto?

    Il tempo è stato poco e quindi l’ho sfruttato al massimo. Devo dire che l’organizzazione è stata fantastica. le persone che hanno gestito il progetto hanno dimostrato una grande professionalità che deriva sicuramente dalle precedenti esperienze avute con Picturin. Inoltre, hanno avuto la grandissima forza, pazienza e fiducia di presentare un progetto così complesso nel 2009 per poi concluderlo solo a fine 2014.
    A parte la realizzazione delle pareti, cosa di per sé molto dura visto il loro numero e anche la grandezza delle superfici, ho dovuto lavorare anche alla ridefinizione dei bozzetti. Ho dovuto modificare alcuni disegni sia perché, non essendo stato prima a vedere i muri, non conoscevo bene il contesto, mi riferisco soprattutto ai muri nelle scuole, sia perché ho voluto ascoltare suggestioni e suggerimenti provenienti dalle persone che abitano nel quartiere.

    Guardando i tuoi lavori, e a maggior ragione questi di Torino, mi sono chiesto se li progetti come un architetto che opera sulla città con i mezzi dell’artista.
    Detto in altri termini, il tuo background da architetto influisce sul modo in cui immagini e progetti i murales nel contesto urbano in cui si inseriscono?

    Di certo i murales modificano lo spazio urbano e il modo in cui la gente percepisce quelle parti di città. Chi fa la street art lo fa anche per migliorare, rendere più interessante e vivo uno spazio che prima non lo era. Del resto, se ci pensiamo, nell’architettura il decoro era una parte fondamentale della superficie muraria, non un accessorio. Non penso solo agli elementi pittorici o grafici, anche gli stessi ordini architettonici avevano una funzione che era anche estetica. Per me il murales conferisce un nuovo valore estetico a quelle che sono semplici superfici cieche.
    Per quanto riguarda lo spazio della strada, e come questo entri relazione con i disegni, spesso mi sono trovato a fare delle modifiche per migliorare la visibilità di alcuni elementi da certi punti di vista, a spostare qualcosa che altrimenti sarebbe risultato nascosto da altri palazzi o balconi.

    Non pensi che l’idea dell’elemento decorativo nell’architettura si riferisca a un qualcosa che è progettata dall’architetto insieme alla costruzione, mentre gli interventi di street art sono fatti a posteriori su elementi che non lo prevedevano?

    Per me sono un ulteriore layer che si aggiunge all’esistente, inoltre fondamentalmente si sfrutta un bug della procedura edilizia. Quando si costruisce in aderenza a un altro edificio per un numero maggiore di piani, bisogna lasciare la parete cieca per permettere al proprietario confinante di poter sopraelevare. Questa norma crea tutta una serie di superfici inutilizzate nelle nostre città che si prestano ad essere usate per l’arte. Mi sembra un buon modo di usare un errore del sistema, o se vogliamo un effetto collaterale indesiderato, per creare qualcosa di nuovo e positivo.

    Ci sono state critiche o resistenze ai tuoi disegni?

    Prima che con le critiche mi sono dovuto scontrare con dei veri e propri pregiudizi. Questa è una storia un po’ particolare, che non mi aspettavo. Quando alcuni abitanti hanno sentito che facevo disegni in bianco e nero hanno subito messo le mani avanti dicendo che loro i “sorci” non li volevano sui loro muri. Il problema nasce dal fatto che per molti torinesi il murales che ROA ha realizzato a Torino nel 2010 (che a me piace tantissimo) è un vero scandalo e bollano come disgustoso qualsiasi murales che possa anche solo ricordarlo alla lontana, anche se si tratta di un disegno al tratto.
    Altri, invece, pensavano che i disegni fossero troppo cupi e deprimenti perché in bianco e nero. Questa è una critica che ho usato come stimolo per far evolvere i miei disegni. Infatti, contrariamente a quelli precedenti, a Torino ho cercato di inserire anche elementi cromatici che non snaturano il mio stile ma aggiungono qualcosa in più proprio nelle parti che volevo mettere in evidenza o che volevo trasmettessero un particolare significato a chi osserva.

    Una delle cose che ci ha colpiti di più guardando i muri a Torino è la grande coerenza e unitarietà che sei riuscito a dare agli interventi evitando immagini urlate o esagerate, ma giocando su sottili richiami.

    Credo che questo di Barriera sia un caso piuttosto raro, non credo ci siano molti esempi nella street art in cui tutti gli interventi siano stati affidati a un’unica mano. È una sfida bellissima ma anche una grande responsabilità.
    Alcuni mi hanno criticato proprio per questo motivo, avrebbero preferito affidare ogni muro a un artista diverso. Lo capisco, è il modo in cui si lavora generalmente nei festival ma credo che sia stato giusto, da parte degli organizzatori, voler provare questa altra strada.
    Inoltre, è vero che ho dipinto 13 muri ma sono poca cosa se li rapportiamo alla grandezza dell’intero quartiere.

    Quale è stata la reazione della gente mentre eri lì a dipingere? Te lo chiedo perché mentre ci spostavamo per fare le foto abbiamo notato una certa ‘diffidenza’ nella gente, come se fossimo degli intrusi da tenere sott’occhio.

    Mentre dipingevo non ho mai avuto problemi, forse anche perché ho passato gran parte del tempo nel cestello della piattaforma aerea. Certo, c’era sempre il gruppetto di anziani lì a guardare e a commentare ma, stando a una certa altezza non li sentivo e non potevo interagire con loro. In generale non ho avvertito diffidenza, anche se il quartiere ha i suoi problemi a livello sociale. Penso sia stato utile aver iniziato a dipingere i muri delle scuole. I bambini sono stati i primi a vedere i disegni e ne hanno poi parlato in famiglia o con gli amici.

    Parlando di piattaforma aerea, in genere come procedi per la realizzazione dei tuoi muri?

    Sul muro bianco inizio a fare una bozza veloce con un colore grigio chiaro, in modo da definire prima le masse e i corpi dei personaggi in primo piano. Siccome è un colore chiaro da lontano non si vede e posso anche evitare in alcuni punti di cancellare le prove o le parti che poi modifico. Una volta realizzate le figure, inizio a campire tutto il resto dello spazio con le strade e i palazzi delle mie città.

    Per controllare proporzioni e rapporti del disegno come fai?

    Mi basta allontanare il cestello di 3-4 metri per verificare rapporti e proporzioni. Poi, non facendo un tipo di disegno iperrealistico, non è necessaria una grandissima precisione, anzi, a volte caricare alcune proporzioni rispetto ad altre aggiunge interesse al disegno complessivo.

    Ora quali sono i tuoi programmi per il futuro?

    Son in cantiere alcuni lavori in Europa, tra Francia, Germania e Spagna, ma il vero sogno nel cassetto è andare a dipingere in Brasile. Vedremo!

    (Francavilla, 6 gennaio 2015)

    —————————————————————————————————————

    Tutte le foto sono di Pippo Marino.

    MILLO

    MILLO

    MILLO

    MILLO

    DSC_0104

    DSC_0088

    DSC_0078

    DSC_0069

    DSC_0037

    MILLO

    MILLO

    MILLO

    MILLO

     


    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

    Ricevi un avviso se ci sono nuovi commenti. Oppure iscriviti senza commentare.