HI, Andrea


    Hi è il titolo della mostra di Andrea Di Cesare, curata da Emanuela Barbi, che si è tenuta a Pescara il 15 dicembre 2012. La mostra è stata aperta al pubblico per una sola giornata, unica e irripetibile.

    Due parole sul luogo dell’esposizione. Si tratta di un appartamento vuoto in un palazzo degli anni ’70 all’inizio della Tiburtina. È un grande edificio con scale anguste e grandi appartamenti, con ampie camere e un doppio affaccio, uno sulla trafficata Tiburtina e l’altra verso la Maiella e le nuove edificazioni. È una specie di spartiacque tra ciò che era, o voleva essere Pescara negli anni del boom economico e ciò che è adesso, o vorrebbe essere, con edifici in mattoni di stile olandese e facciate di vetro per uffici di una wall street abruzzese. Questo condominio si presenta come un esperimento di convivenza artistica. Alcuni studi e atelier d’arte vi hanno trovato spazio e accoglienza e speriamo presto di vederli aperti e attivi in iniziative rivolte al pubblico.
    Per ora, questa mostra è il primo assaggio di un fare arte che ha deciso per un attimo di mettere da parte i luoghi canonici, le gallerie, per appropriarsi di nuovi e mutevoli luoghi della città.

    Cosa c’è di più mutevole ed effimero di un appartamento uso ufficio? Le stanze sono rimaste così come le ha lasciate l’ultimo affittuario, alle pareti si vedono ancora le impronte dei calendari e dei crocefissi. In questi spazi, che già di per sé raccontano le loro storie, hanno trovato la loro collocazione le opere di Andrea Di Cesare. E lo fanno come in punta di piedi, come se sapessero di stare occupando un posto che è loro concesso solo per un breve lasso di tempo. Come i precedenti inquilini, anche le opere occupano lo spazio di ogni singola stanza abitandolo in modo autonomo e singolare.

    C’è la stanza degli oggetti in silicone, calchi di oggetti che nel passaggio a un’altra materia sembrano essere i negativi concettuali dei precedenti: ciò che è pesante diventa leggero, ciò che è duro diventa molle e gelatinoso, ciò che sostiene è a sua volta sostenuto. C’è la stanza delle micro ambientazioni, specie di diorami in cui gli oggetti appartenenti alla sfera quotidiana e locale, le fornacelle per esempio (parallelepipedi di ferro pensati per arrostire arrosticini messi in fila indiana) o una banale scatola di cartone, diventano campi da golf, skatepark o piscine. Un modo forse per unire e ibridare l’idea del tempo libero con gli oggetti che normalmente usiamo nelle nostre case. C’è la stanza del cactus di carne, quella del museo di scienze naturali, con strani reperti di nasi di creature fantastiche di Collodi, proboscidi in miniatura, famose lingue pelose e scroti prolassati.
    C’è la stanza del primate, che sembra essere spirato dopo aver fatto lo sforzo estremo di lanciare un osso di silicone. Ogni ambiente vuole raccontare una storia, forse il risultato di un’intuizione partorita dalla mente di Andrea, un fermo immagine di un film la cui sceneggiatura è perduta.

    L’impressione generale, tralasciando le interpretazioni artistiche che spettano ai critici, è che Andrea sia una sorta di Ovidio alle prese con un proprio personalissimo e privato libro delle metamorfosi. Abbiamo di fronte il racconto di storie mitologiche appartenenti alle esperienze personali di Andrea, forse un gioco in cui il divertimento nasce dall’alterazione della materia di un oggetto nel suo opposto. Da qui, i mattoni forati che si ammorbidiscono nel silicone, la pianta grassa che diventa di carne, il naso di carne che si trasforma in legno, il legno che tramuta in osso. È un gioco continuo che mostra la mutevolezza e transitorietà del mondo concreto, meno stabile e permanente di quello che siamo abituati a pensare. Come le figure mitologiche che mutano da regno animale a vegetale e minerale, questi piccoli miti contemporanei raccontano di spostamenti legati a nuove tecnologie genetiche o a magie letterarie, che poi sembrano quasi la stessa cosa.

    Guardando bene, ciò che lega tutte queste opere è un piacere meticoloso nel modificare e rendere malleabile la materia, sia che si tratti di legno, silicone o creta polimerica.
    Anche i piccoli disegni che si trovano alle pareti, hanno a che fare con la materia poiché Andrea è solito realizzare da sé i pigmenti per i propri acquerelli. Gli stessi disegni sono testimonianze di una trasformazione, da terra o metallo a sfumature sulla carta.
    Andrea è un artista che ha l’arte nelle mani, ha una perizia tecnica e artigianale unica, come si può vedere dalla fattura delle sue opere perfette. Ma non è mai la perfezione dell’esecuzione (a volte davvero maniacale) o la verosimiglianza dell’oggetto alla sua controparte reale a costituire lo scopo dell’opera, è un mezzo attraverso il quale l’idea arriva a prendere una forma che, a ben guardare, sotto il velo dell’ironia e della leggerezza, è sempre inquietante e destabilizzante. Come delle figure mitologiche.

    Avevamo incontrato Andrea già QUI, magari per chi non lo conoscesse è una buona occasione per comprendere meglio il “miccetta-pensiero”.

    Anche se la mostra non è più allestita negli spazi del condominio, è possibile vedere le opere contattando direttamente l’artista.
    Le foto della mostra qui presentate sono di Pippo Marino. (Se preferite potete vedere le foto nel set di Flickr)Più sotto ci sono alcuni esperimenti di riprese a 360° che sono pessimi perché li ho fatti io, ma a me piacciono così perché sembrano degli spazi a cavallo tra un incubo surrealista e un fotoritocco fatto con photoshop a occhi chiusi, il che mi sembra quanto di più fedele alla realtà si possa immaginare di produrre come forma di rappresentazione.

    Stanza C

    Stanza B

    Stanza E

    Stanza D

    Stanza A

    Terrazza F


    4 thoughts on “HI, Andrea

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