Sempre più in alto: il Museo del 900 di Rota-Fornasari

    Grazie a incarichi gelatinosi, cantieri decennali e progetti di primarie marche, anche le città italiane provano a monetizzare la propria immagine e a scuotersi di dosso la recessione. Siamo pur sempre una repubblica fondata sul lavoro nel turismo, per cui non c’è da stupirsi se i sindaci più lungimiranti affidano la loro futura reputazione alla silhouette ammaliante dell’arte, meglio se avvolta nel manto di un’architettura contemporanea. Sorgono così musei, sculture, installazioni e altri manufatti in pietra che valgono una visita di cortesia e, visto che siamo nel target, la nostra recensione su AST.

    Con un margine di ritardo sull’inaugurazione che ci rende più saggi, abbiamo visitato il Museo del Novecento a Milano, come progettato da Italo Rota e Fabio Fornasari. E abbiamo pensato di visitarlo in un sabato pomeriggio in cui si poteva scegliere se accodarsi per l’ingresso a palazzo oppure al dragone in carta del capodanno cinese appena arrivato in piazza Duomo da Via Sarpi.

    Il Museo si insedia nel Palazzo dell’Arengario, tra i benefici del posizionamento in un edificio storico le finestre ampie, la simmetria con l’edificio vicino e soprattutto un’angolazione privilegiata sul Duomo. Per queste e altre ragioni l’involucro è stato ripulito ma nessuno gli ha cambiato i connotati, ma non vuol dire che nessuno abbia infierito. Sotto al portico fa capolino un volume vetrato a losanghe, un cilindro a tutt’altezza che si innesta nella volta in pietra a cassettoni con un taglio preciso e visibile.

    Dall’ingresso ci si lancia subito nel cilindro, una rampa elicoidale à la Guggenheim è il rito iniziatico per accedere al museo vero e proprio. E’ una bellezza al silicone questo ingresso, sarà almeno un centimetro per lastra, il corrimano invece è una distesa di cartongesso, un partner affidabile e collaudato delle forme plastiche.  Non siamo ancora entrati e abbiamo già capito che questo museo della Milano da bere è nato sotto il segno del risparmio e della tradizione, un centro sicuro nel bersaglio del controllo dei costi. Ma nulla è perduto, l’assenza di materiali e tecnologie innovative è anch’esso un segno dei tempi: buio nordico e approccio medioborghese, ma grazie ragazzi per questa entrata scenografica come biglietto da visita. Cammina cammina, alla fine della rampa si apre una nicchia nera che ospita la prima opera, Il quarto stato di Pellizza da Volpedo. Un percorso col botto questo museo del Novecento, spirale e rivoluzione messi subito in sequenza.
    A sentire loroaltri della direzione cultura, Milano ha talmente tante opere nelle civiche raccolte d’arte  che a un certo punto è stato necessario redistribuirle e circa un decimo sono finite nel capitolo di bilancio “arte italiana del XX secolo”. Un passaggio qui, un riallestimento là, ecco nascere il Museo del 900 dalle ceneri della piccola gemma che fu il CIMAC (Civico Museo di Arte Contemporanea).
    Da digressione aiuta a giustificare il passaggio: il proletariato in rivolta per eccellenza non riposerà più a Villa Reale con ingresso gratuito ma abiterà qui, nell’esclusivo privè che lo fa sembrare il maxischermo di un multiplex.
    Le sale si susseguono per corrente pittorica, purchè il suffisso sia -ismo. Futurismo, concettualismo, matericismo, e i grandi nomi si inseguono, i bei quadri anche. Balla, Boccioni, Braque, Picasso, Kounellis, Melotti, Manzoni, Fontana e molti altri, li si conosce quasi tutti. Trattandosi di un recupero, gli ambienti sono stretti, sono degli appartamenti legati da disimpegni neri.
    La collezione permanente è appesa con fili metallici a vista su pannelli imbottiti in colori pastello, il modulo è variabile, sarà un fine serie. I quadri sono appesi nelle loro cornici barocche uno in fila all’altro, distanziati con la proporzione a-cazzo-di-cane. Per i riflessi dell’illuminazione artificiale non c’è problema, manca il sensore di sorveglianza e possiamo apprezzare i quadri da vicinissimo, possiamo anche superare un gruppo spallando il quadro che non succede niente. Nelle parole di una guida: “ci rimettiamo al vostro buon cuore”.

    Ci si muove in fretta tra i quattro livelli con un’infilata di scale mobili, addossate su una facciata vetrata, che a sua volta è quasi contro un palazzo medievale. E’ la scuola dei centri commerciali che trionfa, ce ne accorgeremo all’uscita quando dovremo farcele tutte in sequenza per arrivare alla cassa, ops, alla cassette delle offerte.

    Una passerella bianca si innesta nel vicino Palazzo Reale e va verso l’archivio. E’ l’unico passaggio immerso nella luce.
    Il progetto Rota-Fornasari si fa ricordare per gli impianti di risalita, degli intermezzi con le sale espositive intorno.
    Più si sale, più la vista si fa inedita e la visita interessante. A un certo piano la scala mobile si sposta al centro e conduce a un minimuseo nel museo. Gli ultimi due livelli sono dedicati a Fontana, concetti spaziali misti e un soffitto decorato montato come se tornasse ad esserlo. Sovrastano un’opera di neon art e la vista dai finestroni che abbraccia tutta la piazza, compreso il Duomo, tutto il Duomo.
    Laggiù, il dragone cinese in carta si divincola come un derviscio. Questa visita è nata sotto il segno del dinamismo e della velocità, e l’anno del coniglio esplode anche nel Palazzo dell’Arengario.
    C’è anche un interrato, l’unico accessibile con scale tradizionali, ospita i bagni e una sala conferenza. Bella mossa. Il bookshop è evitabile, anche questo ci sembra un gesto gentile. Ma soprattutto ci ricorderemo di come ci siamo sentiti all’uscita, una sola porta sul cortile antistante Palazzo Reale. Uno spazio grande, poca gente, il Duomo rosato dal sole che tramonta. Una specie di calma, per ricordare.

    Guarda la galleria di foto (tutte di d.oriana)


    12 thoughts on “Sempre più in alto: il Museo del 900 di Rota-Fornasari

    1. dopo il rapporto di Fibonacci, il rapporto aureo, il rapporto del Modulor arriva il rapporto figlio dei nostri tempi: il rapporto a “cazzo-di-cane”. Però alla fine, guardando le foto il risultato anche se caotico, un po’ raffazzonato e “ce l’abbiamo messa tutta ma più di così non si poteva che i soldi erano finiti prima di iniziare” non mi sembra male. Urge una visita.
      Grazie per la bella recensione.

    2. e quello secondo me è l’estro creativo degli installatori, manutentori, artigiani che hanno materialmente installato mettendoci il loro fuoco sacro. accorri numeroso!

    3. a me è piaciuto il “piano Fontana”, per la vista e perché ho potuto mettere un dito dentro il taglio di “Concetto spaziale, attesa” in perfetto stile San Tommaso … e adesso credo nel 900!

    4. noo di più, pieni voti. la sciatteria milanese e il braccino corto mi fanno specie come il potere temporale della chiesa.

    5. Lo devo ancora visitare… mi auguro che il senso di meraviglia che ho provato la prima volta che ho visto “Il quarto stato” ancora nella sua vecchia localizzazione alla Galleria di Arte Moderna sia evocato anche qui. Non sono una persona molto suggestionabile in questo senso, opere anche più blasonate come Guernica non mi hanno comunicato quella sensazione di rispetto che ho provato varcata la soglia della stanza in cui si trovava questo quadro (che sui libri non avevo mai apprezzato particolarmente).

      Se no per me il museo ha già fallito…

    6. Mary, il volume è piccolo, l’effetto maxischermo che ha fatto a me non è totalmente negativo… più che sentire la loro causa vicina li ho visti “distanti”, tipo un pezzo di storia di un film. Facci sapere.

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