L’internet-tuale

    Come la maggior parte degli intellettuali di Internet, Jarvis è l’Uomo-Tecnologia – il successore dell’Uomo della Storia del romanzo di Bradbury. Mentre il fittizio Howard Kirk si rivolgeva all’hegelismo e al marxismo (della varietà più volgare) per spiegare tutto in termini di grande e inesorabile marcia della storia, Jarvis ha un altro punto di riferimento, un altro telos sacro: l’altrettanto grandiosa e altrettanto inesorabile marcia di Internet, che a suo avviso è una tecnologia che genera le proprie norme, le sue leggi, il suo stesso popolo. (Gli piace parlare di “noi, popolo della rete.”) Per l’Uomo della Tecnologia, Internet è la colla che tiene insieme il nostro mondo globalizzato e il nume divino che lo riempie di significato. Se pensavate che l’etnocentrismo era male, preparatevi per Internet-centrismo.

    Questo significa che dovremmo bandire Internet – e la tecnologia – dal nostro conto di come funziona il mondo? Certo che no. I manufatti materiali – in particolare i prodotti della loro interazione con gli esseri umani, le idee, e altri manufatti – ricevono raramente la giusta attenzione che meritano. Ma la sola presenza di questi artefatti tecnologici in un dato contesto non fa sì che quel contesto sia riducibile a spiegazioni puramente tecnologiche. “Vedere” la mano invisibile di Internet ovunque è un modo sicuro per perdere le proprie strutture portanti intellettive. Così si opta per non sofisticate Internet-centriche spiegazioni semplicemente perché sono redditizie, o suscettibili di essere festeggiate dalla folla tecnofila. La portata globale di Internet non è una scusa per adottare tale punto di vista come spiegazione universale: il globalismo è grossolanamente provinciale, e il pensiero pigro.

    Perché preoccuparsi del crescente dominio di tale digitalismo? La ragione dovrebbe essere ovvia. Quando le spiegazioni internetcentriche tagliano fuori tutto il resto, il nostro intero vocabolario viene ridefinito. La collaborazione è reinterpretata attraverso il prisma di Wikipedia, la comunicazione, attraverso il prisma del social networking, la partecipazione democratica, attraverso il prisma del crowd-sourcing, il cosmopolitismo, attraverso il prisma di leggere il blog di “altri” esotici, gli sconvolgimenti politici, attraverso il prisma delle cosiddette “Twitter revolution”. Anche la persecuzione dei dissidenti è ora vista come un’estensione della censura online (e non il contrario). Un titolo recente sul blog Herdictproject creato ad Harvard – che traccia la censura di Internet in tutto il mondo – annuncia che, in Messico e Marocco, “La censura online diventa Offline.” Attivisti e dissidenti non sono mai stati perseguiti prima di Twitter e Facebook?

    Naturalmente, non si può negare che Internet alteri i nostri paesaggi ideativi e cognitivi. Una civiltà che si vanta di costruire una Wikipedia è probabile che abbia ben chiare alcune idee sulla partecipazione democratica, la cooperazione, la ricerca, la competenza, e la natura umana. (Il titolo di una conferenza 2009 di Yochai Benkler, il più intelligente utopista di Internet e, per molti versi l’anti-Jarvis, coglie la posta in gioco abbastanza bene: “Dopo l’egoismo: Wikipedia 1, Hobbes 0 alla fine del Primo Tempo”). L’idea che Internet generi la materia altrettanto tanto quanto la stessa Internet. Questa è un’altra ragione per mantenere un occhio puntato sugli intellettuali di Internet come Jarvis: lasciati incontrastati, possono riuscire a convincerci che effettivamente abitiamo il paese digitale delle meraviglie della loro immaginazione.

    Ma tale vigilanza non è facile. Ai nostri intellettuali di internet manca l’ambizione intellettuale, e l’erudizione di base, per collegare il loro pensiero con le precedenti tradizioni della critica sociale e tecnologica. Hanno un disperato bisogno di credere che ogni loro pensiero è senza precedenti. A volte sembra come se la vita intellettuale in realtà non li appassioni per niente. Non si abbassano mai al compito umile di produrre saggi ampi e argomentati, dove potrebbero sviluppare le loro idee a lungo, per mezzo di discussioni e apprendimento, e scontrarsi pienamente con i loro critici. Invece bloggano e tweettano, e fanno consulenze, e danno conferenze – modalità di discorso che sono per lo più impermeabili alla critica seria.

    Certamente scrivono libri, ma, come l’esempio di Jeff Jarvis mostra, i libri tendono a contenere quasi solo gli slogan che hanno divulgato in formati più redditizi e meno rigorosi. Essi rifiutano “il meglio che è stato pensato e detto” per il meglio che è stato bloggato e twittato.
    Come Chuck Klosterman ha osservato, “il valore che una persona da a Internet è proporzionale al valore che Internet attribuisce a quella persona.” Agli Intellettuali di Internet piace raccontare alle aziende e ai governi ciò che vogliono sentire, tra cui il tipo di cattive notizie che in realtà sono buone notizie sotto mentite spoglie (siete in forma terribile, ma se solo abbracciate Internet, tutti i vostri problemi saranno finiti per sempre!). Di tanto in tanto i loro spettacoli sono imbarazzanti, il nome di Clay Shirky è apparso nell’elenco spregevole dei consulenti per il governo di Gheddafi, ma sanno correre il rischio. E le società tecnologiche restituiscono il favore: le prime pagine di Macrowikinomics – un altro recente best-seller nella biblioteca tentacolare della tecno-erudizione – sono disseminate di citazioni elogiative da parte dei CEO di Dell, Best Buy, Accenture, Dupont, Nike, Google, e una dozzina di altre aziende.

    Perché questi racconti sono richiesti da parte del pubblico è più misterioso. Potrebbe essere che la gente comune trova la perplessità surreale di Internet, il materiale di Wikileaks, Anonymous, Stuxnet, le “rivoluzioni Twitter”– così esasperatamente complesse e labirintiche che sono pronti ad accontentarsi di qualunque teoria o pseudo-teoria sembri dare un senso alla nuova sconcertante situazione. E quale modo migliore per dare un senso a tutto di sostenere che la fonte della loro perplessità è di fatto una parte di qualche inesorabile processo storico che si sta svolgendo da secoli? La maggior parte degli intellettuali di Internet scelgono semplicemente un punto casuale nel lontano passato, l’onore quasi invariabilmente va all’invenzione della macchina da stampa, e procedono a disegnare una linea retta da Gutenberg a Zuckerberg, come se la Controriforma, la Guerra dei trent’anni, il regno del Terrore, due guerre mondiali e tutto il resto non sia mai successo.

    I riferimenti onnipresenti a Gutenberg sono progettati per conferire una qualche solennità storica a nozioni selvaggiamente non-storiche. Il fallimento degli intellettuali di Internet alle prese con i secoli successivi a importanti sviluppi tecnologici, sociali e culturali è lampante. Per tutta la loro grandiosità sulla tecnologia come chiave per tutti gli enigmi della vita, non riescono a vedere oltre il loro iPad. E anche i loro iPad è di loro interesse solo come “piattaforma”,  – un’altra parola di moda degli indifferenti – e non come un artefatto che è assemblato in condizioni dubbie da qualche parte in laboratori dell’Asia orientale in modo da produrre la devozione cultuale nei proprietari più fortunati. Questa mancanza di elementare curiosità intellettuale è la caratteristica che definisce l’intellettuale di Internet. La storia, dopo tutto, è nei dettagli, ma nessun intellettuale di Internet vuole essere accusato di pensare in piccolo. E così pensano in grande – sciatti, ignoranti, pretenziosi, e senza il minimo apprezzamento della differenza tra pensiero critico e propaganda di mercato.

    Evgeny Morozov, The Internet Intellectual, in The New Republic, October 12, 2011.

    Marvin Newman, Untitled (soap box preacher) 1956 | Gelatin silver print | 10 x 13.25 in.

    7 thoughts on “L’internet-tuale

    1. “Per tutta la loro grandiosità sulla tecnologia come chiave per tutti gli enigmi della vita, non riescono a vedere oltre il loro iPad.”
      La frase riassume perfettamente la condizione del maître à penser moderno.

    2. Perché ho tradotto e riportato qui questo estratto della velenosissima recensione di Morozov all’ultimo libro di Jeff Jarvis?
      1. dimostra l’esistenza di un dibattito acceso intorno alla varia pubblicistica dedicata a internet;
      2. è divertente quanto tagliente.

    3. dimenticavo, c’era anche un punto 3:
      3. perché mi piacerebbe leggere critiche ben scritte, agomentate, cattive e sfacciate anche sull’architettura

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