La quasi architetto Rahel

    Finite le scuole superiori, Rahel ottenne l’ammissione a un mediocre corso di architettura a Delhi. Non era il risultato di un serio interesse per l’architettura. E nemmeno di un interesse superficiale, in verità. È solo che le capitò di dare l’esame di ammissione e di passarlo. La commissione restò impressionata più dalle dimensioni (enormi) delle sue nature morte a carboncino che dalla sua maestria. Quel disegno sciatto, spericolato, fu scambiato per sicurezza artistica, benché, in verità, la loro autrice non fosse affatto un’artista.

    Rahel passò otto anni al college senza finire il corso quinquennale e senza laurearsi. Le tasse scolastiche erano basse e non era difficile sopravvivere abitando all’ostello, mangiando nelle mense  universitarie gratuite, assistendo raramente alle lezioni e lavorando invece come disegnatrice in tetri studi di architetti che sfruttavano il lavoro a buon mercato degli studenti per fare i disegni di presentazione e per scaricare la colpa su di loro se i disegni non andavano bene. I compagni, specialmente i ragazzi, erano intimiditi dalla sua imprevedibilità e dalla sua quasi selvaggia mancanza di ambizione. Giravano alla larga. Non la invitavano mai nelle loro graziose casette o alle loro feste chiassose. Persino i professori diffidavano di lei: diffidavano dei suoi disegni di edifici bizzarri e poco funzionali presentati su una carta marrone da quattro soldi e della sua indifferenza alle loro critiche accalorate.

    Arundhati Roy, Il dio delle piccole cose, Guanda, Parma 1997, p. 28.

    (Che poi, Arundhati Roy è veramente un’architetto, addirittura specializzatasi in restauro a Firenze. Rientra, pertanto, nella lunga lista di quegli architetti che, nella vita, hanno fatto ben altro.)


    11 thoughts on “La quasi architetto Rahel

    1. In questi giorni di “Riforme Epocali”, Amare Ricette Salva Italia, leggevo il libro e mi chiedevo se il dio delle piccole cose, anche in questi frangenti sfaldati e abborracciati, ancora una volta sta pagando il suo tributo. Mi chiedo quanto un numero preceduto da una virgola, un indice, un anno inserito nel testo di una legge, influirà sulle storie minime, personali, piccole, di ognuno di noi.
      E poi, nel libro c’è il clima di incipiente tragedia che è presente in ogni pagina il cui succo, ripetuto più volte dai suoi protagonisti, è che le cose possono cambiare in un attimo. Stiamo anche noi vivendo attimi del genere?
      (prossimo libro, scelgo qualcosa di meno angosciante…)

    2. Rahel…ti sento molto “vicina”, a tal punto da volerti quasi bene…

      ..cmq, rem, aldilà dell’angoscia, hai fatto bene a postare questo libro,mi incuriosisce…credo che lo leggerò.

      1. il libro è molto bello e duro. Un altro libro altrettanto bello, sempre di un’autrice indiana, è Eredi della sconfitta di Desai Kiran.
        Una cosa molto importante da sottolineare è che Arundhati Roy, dopo il successo del primo libro, ha deciso per il momento di pubblicare solo saggi molto impegnati dal punto di vista politico e sociale, una scelta dettata dai tempi in corso.

    3. a parte il ribadire che nei prossimi anni la maggior parte di noi dovrà rivedere nella sostanza la propria professione, un giorno un saggio mi disse che il suo percorso di vita era indifferente a questi pseudo passaggi epocali.
      ho cominciato a guardarmi con una lente tilt shift e ora tutto è più chiaro.

      1. abbiamo già, da tempo, iniziato a rivedere nella sostanza non solo la nostra professione, ma tutto, proprio tutto tutto.
        Mi piace la lente tilt shift, fa sembrare tutto un plastico.

      1. uhm alla prima pagina ho capito che l’ho già letto e non ricordavo assolutamente…niente. malissimo, in tutti i casi :-(

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