Parassiti 3d e tute spaziali

    2006. Ci sono alcuni ragazzi appassionati di cinema e fantascienza. Qualcuno già si occupa di grafica 3d ed effetti speciali, qualcuno lavora nel campo della musica o della fotografia, qualcuno recita, qualcuno ha semplicemente voglia di mettersi alla prova e creare qualcosa di nuovo.
    Una nota casa di produzione software bandisce un concorso: bisogna realizzare il trailer per un ipotetico film di fantascienza ispirato al libro Eon di Greg Bear, in palio ci sono alcune licenze, schede e tavolette grafiche. Il gruppo si lancia nella sfida mettendo in campo tutte le energie che possiede più quelle prestate da amici e parenti.
    Un mese di preparazione – storyboard, costumi, musica –, un giorno di riprese nello studio dell’ex posto di lavoro, che gentilmente mette a disposizione la sala di posa col blu-screen, un altro mese intensissimo per postproduzione ed effetti speciali. Nel cast compaiono amici e cugini, per i costumi mamme e zie si mettono a cucire tute spaziali in cui sopra metri e metri di gommapiuma si trovano riassemblati giocattoli e piccoli elettrodomestici comprati al negozio cinese. L’impegno è  enorme, anche perché è la prima grande produzione per il nuovo gruppo di lavoro e si spera così di ottenere almeno un po’ di visibilità a livello internazionale.
    Il video vince il primo premio ed è l’inizio in grande stile della società di produzione video The Shift.
    2008, i nostri ci riprovano. Hanno acquisito nuove conoscenze grazie alle esperienze maturate nel corso di quasi due anni. Decidono di riprovare col concorso, questa volta il tema è Uplift Universe – Alien Relations, insomma, tutto ciò che la mente perversa di un appassionato di fantascienza e di effetti speciali può immaginare sul rapporto tra umani e alieni.
    Questa volta la sfida è più ambiziosa: invertire la proporzione tra girato e realizzato in 3d dando più spazio alle riprese filmate. Forse c’è una maggiore voglia di dar spazio alla parte narrativa, alla storia raccontata in pochissimi secondi, piuttosto che mostrare i muscoli con gli effetti speciali, di cui ormai sono maestri assoluti.
    Il premio consiste nelle immancabili licenze di software (Softimage e Maya) e in una workstation superpotente, ed è quella che ci mostra orgoglioso Emiliano quando andiamo a trovarlo nello studio.
    Innanzi tutto parliamo del luogo in cui i membri di The Shift lavorano e che condividono con uno studio di fotografia. Si tratta di open space molto company 2.0 con un grande spazio centrale a doppia altezza dove trovano spazio il set per le riprese fotografiche (in cui l’oggetto più interessante è una grande rete elastica che, contrariamente a quello che speravo, non serve per scaricare la tensione o far divertire gli ospiti ma per far assumere alle modelle delle sbarazzine pose “dinamiche”) e una piccola cucina.
    Nelle gallerie superiori si trovano i computer dei due studi e la sala relax dove campeggia un biliardino a norma della Federazione Italiana Calciobalilla. La prima cosa che si nota è il caos creativo che c’è nella parte dei fotografi e la monacale semplicità che regna dalla parte dei nostri artisti 3d, forse segno che la loro creatività esplode unicamente all’interno dei monitor e degli spazi digitali.
    Emiliano, mente creativa del gruppo, in pratica il sosia di Will Holdam, come potete vedere dalle foto, ci racconta col suo tono pacato e sempre sorridente le diverse fasi di progettazione e realizzazione dei video, tra cui il corto Apnea, girato a Piacenza nel 2009 e il promo che ha realizzato per la casa discografica African Tape di Julien, il nostro “gancio”.
    È molto interessante scoprire come all’origine di tutto ci sia uno story board il più delle volte disegnato a mano. Emiliano ha una mano felice, come si dice in gergo, eredità di anni passati a lavorare nel mondo del fumetto. Da questo ambito sembra aver portato con sé il gusto deciso per le inquadrature cinematografiche e la voglia irrefrenabile di raccontare storie.


    Quali sono i campi in cui si svolge la tua attività?
    Ci occupiamo prevalentemente di computer grafica e di post-produzione video. Facciamo computer grafica per tutti quei prodotti che riguardano il video: sigle, promo, cinema, animazione di personaggi, effetti speciali… lo spettro è molto ampio.

    Tra questi settori ce n’è uno trainante?
    Sicuramente quello legato ai promo per la tv in motion graphics e 3D. Questi due settori, prima separati, oggi si stanno sempre di più fondendo. Quando ti chiedono la grafica per una sigla ormai il confine tra farlo 2D o 3D quasi non esiste più. Per il momento il nostro core business è quello. Saltuariamente ci chiedono anche di fare effetti speciali, per esempio, abbiamo curato la postproduzione degli effetti per un B movie di genere  horror girato in Argentina.

    È uscito nelle sale?
    Si chiama Thy Kingdom Come, però in Italia è uscito solo su dvd.

    Un vero film di nicchia…
    Tra gli effetti speciali c’era una specie di parassita da animare, un mostro a cui abbiamo aggiunto vari tentacoli.

    Siete specializzati in mostri e parassiti…
    Devo ammettere che a me il campo dell’horror e della fantascienza piace tanto, lì ci divertiamo parecchio.

    Per quanto riguarda i lavori di cui hai fatto la regia, sono tuoi lavori personali o riguardano anche la società?
    Come regia curo sia i progetti su commissione, videoclip e spot, sia quelli interni. Più che di regia mi occupo di direzione artistica, cerco di dirigere le persone che partecipano al progetto dal punto di vista creativo, quindi non sono propriamente un regista… il lavoro della regia è differente, devi conoscere gli attori e il loro mondo, quando hai un attore…

    È diverso da un parassita…
    Devi comunque sapere come farlo recitare. Spesso dipende dal regista se un attore da il 100% e lì sento di avere ancora tanto da imparare.

    Quanto è importante il fatto di avere questi progetti interni?
    Per me è importantissimo, nel senso che è lì che crei l’identità di un gruppo di lavoro.  In questo periodo di crisi economica generale, per esempio, abbiamo sempre meno tempo da dedicare ai nostri progetti interni, e stiamo notando che la nostra creatività sta subendo una flessione. Però è importantissimo perché poter sperimentare ti consente di imporre il tuo modo di vedere la realtà e il lavoro, invece, al momento siamo più al servizio degli altri: abbiamo bisogno di questo, sappiamo che siete bravi, sappiamo che potete farlo, fatelo!

    Come si compone la vostra struttura?
    Siamo fissi in quattro, io, Silvia Stellabotte ,Marco Stellabotte  che siamo i soci fondatori  più Giuliano Panaccio che è un collaboratore interno , ma con i collaboratori esterni possiamo arrivare anche a 8-10. Non abbiamo la possibilità di prendere altri collaboratori interni, ora non è proprio facile.

    Per quanto riguarda i ruoli, come siete organizzati?
    Io mi occupo soprattutto della gestione creativa e della supervisione tecnica ma lavoro anche insieme a Marco  e Giuliano  che si occupano del 3D e compositing, Marco gestisce anche la parte hardware e software e poi c’è Silvia che fa da producer e amministra la società. Io ho un po’ più la testa tra le nuvole, mentre lei è quella che sa bene come stanno andando le cose e tiene viva la società… in più è anche una scenografa e illustratrice 2D.

    Tornando a te, quando hai scoperto che era questo che volevi fare come lavoro?
    Da sempre, non ricordo esattamente il momento in cui ho pensato di voler fare questo, forse è dalle elementari, non vedevo altre vie, è proprio innato in me. Non si tratta tanto di fare il disegnatore, quello che ho capito di me è che mi piace raccontare ed esprimermi attraverso qualsiasi cosa: mi dai un pezzetto di legno e una pietra e io mi esprimo anche con quello. Il 3d è un mezzo come altri, probabilmente il prossimo passo sarà la regia, magari quello successivo la scrittura. Non mi interessa rinchiudermi in un’etichetta, illustratore/regista/fumettista, mi interessa esprimere qualcosa, avere la libertà di farlo attraverso qualsiasi mezzo. Ovviamente a quel punto entra la questione della tecnica, devi acquisire il bagaglio tecnico e decidere fino a che livello arrivare.

    Come è avvenuta la tua formazione?
    Ho fatto il liceo artistico e dopo ho fatto un anno di architettura. In realtà volevo fare l’accademia delle belle arti ma non avevo la possibilità di andare a Bologna, dove mi sarebbe piaciuto, e L’Aquila non mi interessava. Spinto dai miei e dal fatto che al liceo artistico avevo fatto la sezione architettura, ho provato a fare il test d’ingresso e  sono entrato. Per me è stato un anno devastante perché non mi piaceva una cosa di quello che si faceva. Ricordo che è stata mia nonna a farmi decidere di cambiare. Un giorno mi ha visto che non ci stavo a capire niente e mi ha detto: “Perché continui con questa strada? Fa quello che vuoi, non ti preoccupare se i tuoi non sono d’accordo”. Mi ha stupito che questo consiglio sia venuto proprio da mia nonna che all’inizio era dello stesso parere dei miei genitori. Una mia amica mi aveva parlato di un corso di fumetto a Pescara e ho deciso di iscrivermi. Ho fatto tre anni, in realtà erano due nel frattempo ho dovuto fare il servizio civile. Dopo la scuola ho fatto per un anno il colorista per Carmine Di Giandomenico, un importante disegnatore che lavora per Marvel. Mi ha preso per fare i colori di una sua miniserie di 3 storie, Giulio Maraviglia, ma anche lì ho capito che quel mondo non mi calzava, perché in Italia se vuoi campare col fumetto ti devi fare un culo bestiale, il fumetto è veramente tosto come lavoro. Ho passato tre anni per cambiare il mio modo di disegnare, perché non andava bene per la Bonelli, per poi capire che a me non me ne fregava niente della Bonelli. Dopo, per un periodo ho fatto il grafico 2d nella società di mio cugino che faceva jeans, successivamente ho fatto il grafico per una specie di studio pubblicitario che non è mai partito.
    Durante questo mio percorso, parallelamente, c’era sempre il 3d che ho sempre coltivato da quando ero piccolissimo. Per me era come un giocattolo, mi piaceva il mondo del computer e c’era un mio amico che mi aveva regalato la prima versione di 3dStudio, non era nemmeno 3dStudio Max. Era qualcosa che cresceva com me, non me ne accorgevo, e si è evoluta passando per tutti i vari pacchetti 3D fino alla scelta di Softimage come strumento principale …

    Usavi questi software per i fumetti?
    No, era solo un hobby. Ho capito che quell’hobby poteva diventare un lavoro quando, dopo il periodo di grafico, mi ha chiamato a Roma un mio amico fumettista, Adriano De Vincentiis (molto bravo, pubblica molto soprattutto, anzi solo, all’estero,  anche se quest’anno ha fatto qualcosa per il nuovo Frigidaire). Adriano stava lavorando per la preproduzione di un film a Roma come designer e storyboard artist, e sono stato lì un mese a disegnare con lui. Durante una pausa mi sono portato alcuni disegni di Adriano che rappresentavano un demone e ho ricostruito la testa di questo demone in 3d. Quando sono tornato l’ho mostrato a tutti e da lì hanno iniziato a chiedermi la previsualizzazione di altri personaggi, oppure la sigla e altre cose sempre in 3d. Lì ho iniziato a capire che quello che fino ad allora era un gioco, aveva un potenziale molto più grande. Successivamente sono entrato in Videa (società pescarese di produzione video ed effetti speciali, ora non più attiva) per poi uscirne nel 2006 e fondare The Shift insieme a Silvia, Marco e Gianfranco Sgura, che dal 2009 non fa più parte del nostro team ed ora  lavora a Londra in MPC.

    Tu hai una formazione manuale del disegno, che ti viene dall’aver studiato al liceo artistico e poi alla scuola del fumetto, e usi molto il computer. Ci spieghi qual è il rapporto tra disegno manuale e al computer e come sei riuscito in qualche maniera a fonderli?
    Il processo è stato molto naturale perché, comunque, usando il computer quotidianamente non ti accorgi nemmeno del passaggio. All’inizio io ero addirittura contro. C’era mio cugino che mi diceva: “Tanto nel futuro i disegni saranno fatti direttamente al computer” e io mi incazzavo perché pensavo che la matita non sarà mai sorpassata,  perché il segno… il contatto col foglio… e tutte ste menate qui. Poi mi sono ricreduto. Certo, rimane questa cosa del rapporto con la materia, ma ho capito che con questi nuovi strumenti potevo andare oltre i miei limiti. Quando ho iniziato a lavorare direttamente col digitale ho capito che non c’era più la paura. Quando si disegna c’è una paura di fondo di sbagliare, di rovinare il foglio, ho fatto un errore, devo cancellare, mi si strappa il foglio, così ripassi 10.000 volte sul foglio fino a distruggerlo. Questo in digitale non c’è più. Può essere una sciocchezza ma in realtà sei disinibito sul foglio digitale perché puoi fare tutto quello che vuoi e puoi sempre tornare sui tuoi passi. A volte faccio ctr+z anche per le cose reali… mi capita che quando sto disegnando a mano e sbaglio, cerco il tasto undo.

    Con queste nuove procedure hai ottimizzato i tuoi tempi di lavoro e quindi hai più tempo per impiegare altrove le tue risorse creative?
    Il tempo che prima impiegavo a fare il “bel disegnino”, ora lo impiego nel design, nella ricerca della forma, in quello che devo raccontare. Quando disegno a mano sono attento al segno, a come deve essere più o meno spesso, fluido, ci sono tanti aspetti che ti portano via tempo e non ti fanno stare tranquillo. È come prendere un ansiolitico, non hai attacchi di panico e puoi fare tutto con più  libertà.

    Il digitale ti permette di vincere i tuoi tabù, ti permette di essere più disinibito…
    Per esempio, col digitale riesco a disegnare in negativo, disegno col bianco su sfondo nero, cosa che nell’atto pratico manuale è più difficile. Questa libertà, al contrario, si riflette anche nel modo in cui disegno su carta. Oggi capisco meglio quale sia il senso del disegnare, che non è il bel disegno ma la ricerca del concetto, dell’idea.

    Tra tutti i tuoi progetti qual è il più importante, o quello a cui tieni di più?
    Inspection, come lavoro è il più maturo e corrisponde di più al mio immaginario, al mio mondo estetico.

    Riallacciandoci a quello che hai definito il vostro core business, non pensi che la televisione, ma in generale l’intrattenimento e l’informazione siano dominati dagli stecchetti? Siamo in una specie di regno dello stacchettismo dove però mancano i veri contenuti?
    Non vedo più la televisione, non mi rendo conto nemmeno di dove stia andando, però se vuoi lavorare in Italia non ci sono alternative, non c’è nessuno che voglia investire in un progetto nuovo, al massimo c’è il tentativo di sfruttarti per guadagnarci sopra.

    Riuscite anche a lavorare all’estero?
    Ancora no, ogni tanto ci contattano ma non si è ancora concretizzato niente.

    Lavorare a Pescara vi crea problemi o vantaggi?
    Ci sono vantaggi e svantaggi. È vero che non siamo sulla piazza principale, come Roma o Milano, ma è anche vero che avendo meno spese siamo più competitivi a livello di qualità/prezzo. In qualche modo la crisi ci aiuta perché se prima a Milano ci consideravano poco ora, poiché hanno budget ridotti, hanno iniziato a guardare realtà più piccole come la nostra. Secondo me siamo arrivati a un momento critico: o iniziamo a risalire la china oppure non ne vale più la pena. Stiamo seriamente iniziando a valutare se convenga ancora lavorare in Italia… Il media televisivo è agonizzante, il cinema è proprio deceduto, rimane la pubblicità che però non affida lavori a studi piccoli come il nostro ma preferisce rivolgersi  giustamente a grandi società  italiane come per esempio la Frame by frame di Roma o la Edi di Milano.
    Non ho mai pensato che con questo lavoro si guadagnasse bene, del resto per una struttura piccola come la nostra i guadagni sono minimi. Per la realtà locale i nostri budget possono sembrare alti, però il valore del lavoro è quello: se solo di software hai un investimento iniziale di oltre 15.000 €, come fai a chiedere 300 € per un lavoro? E poi c’è la concorrenza, magari del ragazzetto, che ti fa un prezzo bassissimo perché usa programmi scaricati.

    C’è anche la mentalità del “ma tanto che ci vuole?”
    Certo, ma succede anche chi ti chiamano per rivitalizzare un’immagine un po’ vecchia, gli fai una, due proposte, per poi dover fare quello che ti dicono loro. Lavori il triplo per fare una cosa brutta di cui ti vergogni e che non puoi nemmeno usare per promuoverti per quanto ti fa schifo.

    Quando hai bisogno di ispirazione cosa fai?
    Cammino. Per me camminare tra casa e lo studio è il momento massimo di ispirazione. Ho capito che funziono così, del resto la parte destra del cervello è quella deputata all’intuito e alla creatività ed è quella che gestisce i movimenti. Quando cammino è come se andassi in trance

    Ti sballi camminando…
    Più che altro riconnetto tutti gli input che ho raccolto durante la giornata, do un senso alle diverse idee accumulate sul lavoro.

    Per conoscere i tuoi gusti, ci dici quali sono i tuoi siti di riferimento?
    La mattina guardo siti legati al 3d: CGTalk e 3dtotal, sono dei portali dove si possono vedere le novità del mondo della computer grafica. Per cercare spunti e idee i miei siti di riferimento sono Ffffound e Stashmedia.tv ma ne esistono tantissimi e potremmo scrivere l’intervista solo con link di siti fighi!

    Una rivista?
    L’ultima rivista che ho comprato è Internazionale. Prima prendevo ANIMAls, una rivista di fumetti, però dal momento che non ci disegna più Gipi ho perso interesse.

    Un libro?
    Il libro che sto leggendo in questo momento è Gang Bang di Chuck Palahniuk. Se devo cercare tra i libri quello che mi ha segnato di più, a parte il Kafka de Il Processo e Il castello, direi Lo straniero di Camus.

    Musica?
    Ultimamente non seguo tanto, mi piace molto l’elettronica come Apparat, Moderat, sono progetti tedeschi, poi gli Aucan… – sorride ammiccando a Julien, produttore del gruppo –

    Cinema?
    Più che altro seguo dei registi. Fincher mi piace parecchio, vario molto, vado da uno più commerciale come Nolan a Takeshi Miike, che è un pazzo giapponese. A livello visivo mi piace molto Chris Cunningham, soprattutto il modo in cui lavora sulle mutazioni del corpo.

    La città in cui vivresti?
    Non lo so, non amo spostarmi e non prendo nemmeno aerei perché sono fobico. Quando sono costretto a viaggiare, ultimamente siamo andati a Berlino in macchina, riesco anche a godermi la città, ma non penso mai che ci vivrei. Stare a Pescara non mi dispiace perché è molto vivibile e posso spostarmi a piedi. Di contro ha che è provinciale e culturalmente piatta.

    Per fare il tuo lavoro, quali sono le qualità indispensabili e quali quelle che pensi di avere e quelle che ti mancano?
    Sicuramente, la capacità di percepire quello che ti gira intorno, avere le antenne riceventi ben funzionanti, e poi la capacità di saper comunicare quello che fai. Una qualità che non ho è quella di gestire emotivamente il lavoro degli altri. Io do il massimo quando lavoro da solo e vado un po’ in crisi quando devo delegare o suddividere il lavoro tra più persone. Non che sia geloso, è una questione di organizzazione.

    Che intendi per gestione emotiva del lavoro?
    Quando lavori con altre persone capita di dover riprendere qualcuno, capita che ci sia del contrasto e io lo odio, non riesco ancora ad affrontarlo.

    Cosa ti piacerebbe trovare nel tuo futuro?
    Mi piacerebbe poter realizzare qualcosa delle mille che ho in mente, e di poter continuare ad avere la libertà di esprimermi.

    C’è una preoccupazione che ti assilla?
    Ho una preoccupazione generale riguardo la società. Certe volte penso che siamo veramente arrivati al collasso, mi sembra che come progetto evolutivo l’umanità sia sull’orlo del fallimento. Poi, c’è sempre la preoccupazione contingente: ce la faremo questo mese a sbarcare il lunario? Quando hai una società ci sono tante preoccupazioni che prima non avevi. Quando ero alla Videa lavoravo, davo il 100%, poi però alle 6 staccavo e avevo il mio tempo libero. Ora non ce l’ho più, la società mi ha tolto un bel po’ di serenità perché non riesco mai a staccare. Come arriva un lavoro inizio ad avere gli incubi…

    Ci fai il nome di amici o colleghi che secondo te sono interessanti da conoscere?
    I ragazzi di Dimage, Alessio Di Federico e Barbara Pichiecchio, con i quali condividiamo questo spazio, poi Francesco “Millo” Giorgino, Andrea Di Cesare, detto “Miccetta”, Marco Antonecchia, un altro artista, e Cristiano Betto.


    links:
    The Shift

    Il canale di TheShiftVFX su Youtube
    Il canale di The Shift VFK su Vimeo



    873 thoughts on “Parassiti 3d e tute spaziali

        1. “… gli fai una, due proposte, per poi dover fare quello che ti dicono loro. Lavori il triplo per fare una cosa brutta di cui ti vergogni e che non puoi nemmeno usare per promuoverti per quanto ti fa schifo.”

          …quanta ragione in questa risposta…QUANTA RAGIONE!

    1. bella idea il calciobalilla in ufficio, noi, invece, ci abbiamo il sacco da pugilato (seguirà documentazione fotografica)

    2. che bel post! che bel posto! che bravo emiliano e tutta the shift al completo!!! (come rosico di non esserci venuta anch’io!!)

    Rispondi a m.arch.antonio Annulla risposta

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