Maialini, led e focacce

    Piccolo antefatto alla Giacobbo.
    In compagnia di Silvia e Monica siamo partiti per andare a trovare Lia Cavo nella sua casa a Miano. Nonostante avessimo avuto tutte le indicazioni da Lia e fossimo dotati di un navigatore, alla fine ci siamo persi. Questo perché arrivati nei pressi di Teramo ci siamo distratti e abbiamo sbagliato svincolo.
    Il problema è che Teramo è per i navigatori satellitari ciò che il triangolo delle Bermuda è per i radar aerei: secondo il navigatore eravamo un triangolino che volava sulle montagne e le strade che percorrevamo non esistevano. A un certo punto, dopo essere entrati e usciti da Teramo e dopo aver percorso varie strade di montagna, presi dalla disperazione abbiamo accostato la macchina davanti ad alcune case per chiedere informazioni e, indovinate un po’: sul citofono davanti a noi leggiamo LIA CAVO. OOOOO (stupore!)
    In pratica senza saperlo, e per vie traverse, siamo arrivati esattamente dove dovevamo. Il che, direte non è proprio la dimostrazione scientifica del destino/provvidenza/karma, alla fine a Miano ci sono solo due strade, però è perfettamente in linea con la nostra ospite, come presto scoprirete dall’intervista.

    Lia è un vulcano di energia, una vera forza della natura, una dinamo sempre carica. Mescolate insieme la simpatia e il calore tipicamente abruzzesi con un temperamento espansivo e sincero da vera cowgirl, che le deriva dall’aver vissuto l’infanzia in Canada, aggiungete una creatività strabordante e avrete un’idea approssimativa della personalità di questa artista teramocanadese.
    Appena entrati in casa ci hanno colpito le sue opere che sono disseminate in ogni angolo: disegni, quadri, calchi, quadri rotanti, sculture illuminate, pesci semoventi, scatole con sorprese, manichini, mucche di cartapesta, conigli a specchio e maiali di rete metallica. Più che una casa è un universo parallelo, un mondo di Alice dove ti capita anche di guardare dentro una valigia di ferro attraverso lo spioncino di una porta, dove strani nidi pendono dal soffitto aspettando di essere abitati da chissà quali esotici uccelli, dove maiali semitrasprenti a grandezza naturale ti guardano dall’alto di scaffali e gambe di plexiglass sono pronte con le pinne a tuffarsi in un oceano invisibile.
    Lia ci ha raccontato che il suo è un perenne stato creativo e che spesso tracima fuori dal suo laboratorio per occupare ogni piano utile, compreso quello della cucina.
    La cosa che più colpisce di queste opere è il fatto che per Lia non devono necessariamente stare in asettiche gallerie d’arte ma dentro le case della gente, sono grandi giocattoli da aprire, smontare, toccare e far diventare propri, esattamente come si fa con i giochi che diventano veramente “nostri” solo  dopo essere stati smontati e rimontati.
    Lia ci ha fatto vedere tutte le sue ultime creazioni ma anche i disegni e le sculture fatte durante l’accademia d’arte, un ricchissimo repertorio che dimostra un talento coltivato attraverso lo studio e l’impegno.
    Raccontandoci della sua vita avventurosa ci ha fatto anche vedere come si suona il didgeridoo: suonato da lei sembra facilissimo ma vi assicuro che è difficile se non impossibile e i suoni che escono fuori da un neofita come me sono a dir poco imbarazzanti (e qui ci sarebbe da raccontare di come Lia abbia imparato a suonare questo strumento a Carrara dove si ritrovava a fare delle jam session con gli amici dentro le cave di marmo, a quanto pare l’acustica è perfetta, e dove ha rischiato di morire sotto una frana mentre, no, non suonava il didgeridoo, bensì giocava a frisbee, ma sono storie che vi racconterà lei quando la incontrerete prossimamente a CasAperta, una mostra collettiva che si terrà a Bellante sabato 4 e domenica 5 giugno).

    Dopo l’intervista la nostra ospite ci ha tenuto a prepararci il pranzo (per la cronaca, pizzoccheri alla valtellinese in una versione light – doppia razione per me, visto che siamo “quasi” in montagna – formaggi e focaccia fatta in casa), un modo per dimostrarci la sua ospitalità ma anche di condividere con sincerità il frutto del suo lavoro e della sua passione.
    Alla fine del pranzo abbiamo assistito anche a una lezione di calcografia, anzi, a quanto pare, spesso gli ospiti di Lia si ritrovano a fare da modelli per stampi di gesso che poi troveranno posto nelle installazioni. La prossima volta Lia ci farà fare anche il calco del volto – secondo le sue parole, un’esperienza molto rilassante, una volta superato il panico da soffocamento – ma oggi si è accontentata della mano di Silvia.
    Dentro una scodella di plastica  ha preparato l’alginato, la pasta usata dai dentisti per fare il calco dentario dal buon profumo di menta, e vi ha fatto immergere la mano fino a quando il composto non si è solidificato. L’estrazione è stata più semplice di quanto pensassi perché l’alginato è piuttosto elastico. Nella cavità rimasta ha poi versato il gesso liquido che in meno di 5 minuti si è solidificato. Il passo successivo è stato emozionante come scavare nella terra e trovare un oggetto perduto: lentamente,  rompendo l’alginato pezzo a pezzo, è emersa la mano di Silvia, un doppio perfetto ma inanimato.

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    Due parole per presentarti e per raccontarci i tuoi progetti.
    In questo momento artisticamente mi affascinano molto l’arte in movimento e la genetica, mi piace l’idea di fare interagire le persone con le opere. È un po’ come quello che state facendo con le vostre interviste, state dando un input, state dicendo: ragazzi uscite, andate oltre, prendete le strade secondarie invece della solita autostrada. Allo stesso modo io cerco di andare oltre la classica idea di arte, cerco di avvicinare la gente agli oggetti d’arte che per me sono dei “toys”, dei giocattoloni. Mi piacerebbe superare l’idea dell’arte intoccabile, sacra, oddio si sporca, oddio scatta l’allarme se t’avvicini, la Gioconda di Leonardo dietro il vetro antisfondamento… andiamo oltre, l’arte è da toccare, da scoprire. Non ho un messaggio da dare, le mie opere forse rappresentano più me stessa, le mie passioni o le mie paure…

    Ma tu, senti di presentarti come un’artista?
    Non mi piace tanto, mi piacerebbe dire di più “respiro”, non so, mi sento una creativa. Sono “sveglia”, sì, perché secondo me molti dormono, non guardano, sono talmente standardizzati e intrappolati nei ritmi del lavoro e della città da non guardare più, nel senso del raggio di sole che va a colpire quel vetro e uaaaaaauh, oppure, nel secchio della spazzatura dove trovi le cose più assurde…
    Io definisco “artista” chi riesce a vivere del proprio lavoro d’artista, chi è talmente “genio” da essere creativo e da riuscire anche a trovare i canali giusti.
    Penso che se avessi la possibilità economica farei cose davvero esagerate, ricoprirei intere strutture di led, userei vernici fotosensibili… purtroppo non ne ho e quindi mi adeguo. Penso di essere creativa in tutto, anche nella vita, che per me significa saper osservare il mondo in chiave ironica.

    Le tue opere servono a stimolare la gente a guardare in modo diverso a realtà?
    Spesso le mie opere hanno un qualcosa di spettacolare che, forse, deriva dal mio mondo iperuranico americano dove ero abituata a questi natali pieni di luci lampeggianti da cui ero letteralmente ipnotizzata. Una volta uno psicologo mi ha detto che mi nascondo dietro questi giocattoli, o meglio, uso l’arte per esorcizzare le mie angosce e le mie paure.  Se andiamo a vedere le gambe, le bambole fatte a pezzi, è come se volessi separare la mia parte mentale da quella fisica. Spesso il processo di creazione è inconscio.
    A volte mi capita di fare delle opere e di esporle senza aver dato un titolo, poi mi metto a osservare la gente che interagisce con l’opera, sento i loro commenti – spesso pensano che l’autore sia un uomo, non so perché – e dopo do il titolo all’opera. È come guardare dal di fuori per capire meglio ciò che ho fatto. Forse questo sentirmi sdoppiata, artista/osservatrice ma anche mente/corpo, è un riflesso dei mie due mondi di origine, quello iperuranico americano e quello contadino abruzzese.

    Gli animali sono molto frequenti nei tuoi lavori, derivano dalla tua cultura abruzzese?
    Può essere, è quella parte contadina abruzzese, più calma, più legata alla natura. Ma è anche una metafora per esprimersi. Per esempio, gli psicologi con i bambini come primo test fanno fare il disegno dell’animale preferito e, in base a quello, riescono a capirne la personalità.
    Se devo cercare un motivo per cui uso spesso animali direi che è anche perché mi tranquillizzano, mi sembrano puri, sinceri, umili, l’uomo è troppo contorto.
    Ricordo che una delle prime parole italiane che ho imparato è stata proprio “mucca”, le vedevo dal treno quando da London andavamo a Toronto e mi piacevano proprio quelle bianche con le chiazze nere.

    Quando hai scoperto di voler fare l’artista?
    Fin da bambina mi è sempre piaciuto disegnare però il vero, preciso, momento è stato dopo il mio viaggio in Olanda. Lì ho scoperto che con l’arte si può giocare, che tutto può essere più easy, e non si deve per forza saper disegnare.

    Ci racconti le tue esperienze di studio e formazione?
    In Canada ho studiato in una scuola montessoriana e quando ci siamo trasferiti in Italia sono passata da un metodo completamente astratto, libero, a uno repressivo e rigido che sembrava ancora degli anni ’30. È stato un vero trauma, sono arrivati i primi drammi e a scuola ero un asino con tutti 3 tranne le materie che mi piacevano come quelle artistiche. Prima del liceo artistico ho fatto 3 anni di ragioneria perché dovevo seguire le orme di mia sorella – mia sorella è super razionale, si è laureata in matematica –. Al ragioneria ero brava in inglese, francese, stenografia, geografia astronomica, un po’ di algebra e basta. Bocciata due volte. Dopodiché sono andata a lavorare in fabbrica, ho deciso di pagarmi da sola gli studi e di fare l’artista.
    A 19 anni, a settembre, ho iniziato a studiare al liceo artistico dove ero la più grande della scuola: con i professori avevo un ottimo rapporto, non ho mai saltato una lezione, ci andavo anche quando c’era sciopero, mi piaceva tantissimo. Dopo il liceo ho deciso di andare a Carrara perché ero brava in modellato, spinta anche dal professore Daniele Guerrieri che mi disse: “Tu devi fare la scultrice”.
    Dal ’94 al ’98 sono stata lì, sezione scultura, e ho imparato tutto dal punto di vista tecnico, per quanto riguarda il calco, le resine, gli alginati, il gesso, il cemento, la pietra, il marmo, il granito, ho imparato a usare scalpello e martello pneumatico. Ho acquisito il classico bagaglio accademico.
    Poi sono andata in Olanda con il progetto Erasmus e lì ho riscoperto questo bambino interiore, questa cosa che forse avevo già imparato nella scuola montessoriana. Quando sono tornata ero euforica, sentivo di essere nel momento più bello della mia vita, ero positivissima, frikkettonissima ma non nel look, quanto nello spirito. Avevo libertà di movimento, viaggiavo per il mondo, vivevo e lavoravo dove mi piaceva stare.
    Poi sono tornata e ho iniziato il mio percorso artistico con l’idea di fare opere e installazioni, anche sapendo di non guadagnarci: chi compra un paio di gambe trasparenti con dentro i led e con le pinne? Forse un americano lo farebbe, qui in Abruzzo non comprano nulla neanche per decorare le case…

    È dura la vita dell’artista se si volesse campare di questo?
    È difficile, qui in Abruzzo la cosa più importante sembra essere il cibo. Ecco perché pensavo di fare sculture di cibo, arrosticini luminosi roteanti, da mettere fuori le trattorie, perché sennò, a parte quei pochi che sono svegli, è difficile far capire che investendo qualcosa in più ti ritrovi con un pezzo di una persona, una cosa intima e personale. Ci sono teramani disposti a investire 800 euro per un paio di stivali, investite nella cultura piuttosto!

    Tra tutti tuoi progetti quali sono quelli a cui tieni in maniera particolare?
    Forse sono i maialini, per il fatto che sono arrivati di più, ormai sono il mio biglietto da visita. Secondo me è un progetto valido perché ironico, fatto con pochi materiali, corretto anche dal punto anatomico, semplice ed essenziale. Un altro lavoro a cui sono legata sono le faccine, un tema che spesso riemerge nei miei lavori anche a distanza di anni. Sento che c’è molto di me stessa in questi volti e ogni volta che ricompaiono è come se rinascessi. Forse è espressione dei miei alti e bassi, dei miei conflitti interiori, a cui seguono sempre momenti di positività e di rinascita. Nelle faccine è presente anche un altro tema a me caro, quello della clonazione, che viene dall’aver letto il libro Brave New World di Aldous Huxley, uno dei libri che mi ha segnato di più. Mi sono fissata con questo omino e ancora adesso, dopo 16 anni, spunta fuori in qualche lavoro, magari nascosto nell’erba finta o mimetizzato con i colori della bandiera italiana.

    Ti è mai capitato di lavorare su commissione?
    Certo, ma cerco sempre di metterci del mio, soprattutto l’ironia. Tra i vari lavori ho realizzato con un’amica, Francesca Casolani, il pupazzo di neve che compare nello spot della Sangritana, lo potete vedere su youtube. È un personaggio, tipo il Gabibbo, che ho realizzato con cartapesta e rete modellata: l’ho fatto in due giorni qui a casa e c’era un via vai incredibile, molto divertente. Siamo anche andati a girare le scene con la motoslitta a 2000 metri di altezza.

    Quando cerchi ispirazione, cosa guardi o fai?
    Vado a visitare una bella mostra d’arte contemporanea, magari la biennale di Venezia, o al contrario, faccio qualcosa di completamente di diverso, stacco, e me ne vado sul Gran Sasso. Salgo su fino a 2912 metri, mi immergo nella natura, poi ritorno e riparto. E poi c’è il mare…mi piace molto andare alla Torre di Cerrano oppure in Sardegna, almeno una volta l’anno… un mare celestiale! Questo a volte mi succede con i lavori su commissione, non ho particolari problemi però il processo non è così immediato. Poi, diciamo che l’età ha fatto i suoi danni: ci sono stati momenti in cui ero ispiratissima, stavo sempre a disegnare, scrivevo poesie, progetti. A volte ci possono essere dei blocchi della vita, conflitti interiori, delusioni d’amore. Il fatto stesso di tornare a Miano potrebbe essere vissuto come una sconfitta. Hai viaggiato in tutto il mondo, ti ritrovi in questo paesino e ti domandi: che ci faccio qui? Col tempo ho capito che non era un caso che fossi tornata, qui ho trovato il mio equilibrio e posso finalmente avere uno studio grande tutto mio, vivere finalmente nella pace della campagna dove vedo il mare e la montagna, un posto sano e pulito per crescere mia figlia Eva. Anche se non è più come quando stavo a Carrara o in Olanda, devo dire che da quando sono qui con il mio laboratorio, nella mia casa, ho fatto molto di più di quando stavo, per esempio, a Bergamo. In un appartamentino di 40 metri quadrati fai lavori tipo cartoline, ti adegui a dove vivi, più lo spazio è piccolo e più devi fare lavori piccoli. Se, invece, hai spazi grandi e l’attrezzatura giusta – qui, per esempio, posso usare le saldatrici di mio padre – puoi pensare anche a qualcosa di diverso.

    Parlaci dei tuoi gusti a partire, per esempio, dai siti web che vedi più spesso.
    Amo molto la musica e su internet il mio sito di riferimento è YouTube. Poi, per il resto, spazio molto, non ho dei siti precisi di riferimento.

    Gruppi musicali?
    Attualmente mi piacciono molto i Caribou. Sono canadesi, li ho visti anche dal vivo e sono bravissimi. Suonano elettronica ma sono partiti da un rock psichedelico.

    Una rivista?
    Arte, oppure Colors, ma adesso non mi piace più la fotografia che propongono, XL di Repubblica e poi l’oroscopo di Rob Brezsny. Adesso che ci penso il suo è il sito che ogni giovedì vado sempre a visitare. È proprio terapeutico.

    Un libro?
    Come ti avevo detto prima, Brave New World di Huxley ma te ne potrei dire tantissimi altri: il Libro dei Chakra di Judith Anodea mi ha aiutato molto, oppure La mente che mente di Osho… sono libri che ogni tanto vado a rileggere.  Oppure Gli amori di Ovidio, conosco tutta la trilogia, come imparare l’arte del sedurre.

    Programmi televisivi?
    Non ho proprio la televisione.

    Cinema?
    Blade Runner, Dune di David Lynch e poi tanti altri…

    La città in cui vivresti?
    Per il mio lavoro starei bene a New York, ma mi piacerebbe vivere anche in Olanda, ad Amsterdam. Lì si vive bene, e non è per un fatto delle droghe leggere, ma perché gli olandesi riescono a risolvere qualsiasi problema in un battibaleno, sarà che anche loro hanno avuto il metodo montessoriano… E poi trovi tutto per l’arte, l’architettura, mi piace il fatto che siano riusciti a creare città dove prima c’era solo il mare. Mi piace anche solo il fatto di muoversi in bici. Ecco, io vivrei ad Amsterdam in una casa galleggiante.

    Quali sono le qualità che servono per il tuo lavoro, quali possiedi e quali vorresti avere?
    Devi essere istintivo, sentirti bambino, cosa che io ho in quantità, ho la sindrome di Peter Pan “a stecca”. Io ancora mi ritrovo a dire “da grande farò”, non cresco, sono in una perenne fase adolescenziale.

    E una qualità che invece ti manca?
    Vorrei essere più determinata, portare a termine le cose che intraprendo senza perdermi nel mezzo, vorrei essere più concentrata. Nella vita personale invece mi capita di commettere sempre gli stessi errori, sono come un cane da caccia inglese, se per dieci volte mi imbatto in una pozza, dieci volte mi ci butto dentro, forse è perché sono cane cosmico nell’oroscopo maya…

    Cosa ti piacerebbe trovare nel tuo futuro di artista?
    Mi piacerebbe poterci vivere completamente, poter vivere in una casa in campagna dove avere il mio laboratorio, arrivare per quello che sono e che so fare. Avendo sempre lavorato per mantenermi – ogni mattina mi alzo presto per andare a lavorare in un negozio ma ho fatto anche le stagioni, la cameriera e altri lavoretti – mi rendo conto di disperdere le energie. Nel mio futuro vorrei potermi alzare la mattina e concentrarmi sul mio lavoro, con quella disciplina che ti porta a praticare l’arte ogni giorno, come fosse un impiego, ma anche come fosse una medicina salvavita.

    Una preoccupazione?
    Mi preoccupa la rabbia che vedo intorno, questa cecità negli altri. C’è poco contatto, poco scambio, non parlo della cerchia di amici, ma è in questa società che mi sento spaesata. Mi spaventa a cosa potrebbe arrivare l’essere umano.

    Fai il nome di tuoi amici o colleghi che vale la pena di conoscere.
    Sasha Prosperi, è poliedrica, fa tatuaggi e vive vicino L’Aquila, in generale mi piace la sua energia. Giustino De Gregorio, lavora con la musica e col video. Fabrizio Sannicandro, pittore e grafico, vive in una casa stupenda immersa nella natura, come architetti vi colpirà di sicuro. Marco Rodomonti, mio cugino, lavora con molti materiali tra cui il vetro, il legno e il ferro. Per finire, Francesca Casolani con la quale ho realizzato il pupazzo di neve.
    Quando andiamo a conoscerli porto le mie focacce. Per il futuro sai cosa vedo bene veramente? Voglio fare le focacce, voglio “cucinì”: almeno si mangia, si vende e si guadagna.

    links:

    www.myspace.com/liahaleali

    liacavo.tumblr.com


    37 thoughts on “Maialini, led e focacce

    1. mammamia che stile…lia sei tanta roba… :)
      (stop allo slang giuovanine…)
      Il servizio fotografico come sempre impeccabile e recensione molto coinvolgente…
      Ormai mi sto rendendo conto che abbiamo intorno a noi un patrimonio importantissimo e neanche lo sappiamo…rem, mi stai facendo conoscere realtà artistiche bellissime,grazie! ti consiglio di scrivere/organizzare un libro che racconti l’esperienza ” comici creativi guerrieri ” e magari anche una bella mostra…dove l’arte si possa vedere,respirare,sentire e…mangiare! non credi? :) (..o forse mi sto esaltando troppo? :D )

      1. proprio mentre parlavamo Lia ci è venuto in mente che dobbiamo organizzare una mega festa dei Comici Creativi Guerrieri e il periodo migliore sarà settembre, così nel frattempo continuiamo con le interviste e le scoperte.

        1. YEsssssSSSs
          una super festa e poi tutti noi verremo a casa vostra a fare noi l’intervista a voi
          L’INVERSIONE DEI RUOLI!!!!
          ::-)

    2. Bellissima intervista e bellissima giornata passata insieme! Peccato che non si possa postare le interviste in odorama/gustorama… Ma proprio chiacchierando con Lia è uscita un’idea maravilliosa: AST tenetevi pronti!

    3. si ai CCG.
      si al CCG party!
      mi raccomando però ditemi la data per tempo che arriverò con una bici di seconda mano con le ruote sconfie e la catena cigolante…se no che CCG sono?
      e magari mi vesto pure di tweed…

        1. ok ma tu mi prometti che al nostro arrivo verremo accolti da un plotone di arceri che scoccherà arrosticini in cielo.

    4. ogni volta che guardo nei feed spero sempre che ci sia un nuovo capitolo: le puntate di CCG sono una più bella dell’altra;
      ottimo lavoro, siete bravi un gran bel po’!
      il passo successivo potrebbe essere quello di metter su anche degli estratti audio dell’intervista in podcast per ascoltar le voci;

      1. ma lo sai che ci stavamo pensando!?
        Io ci vedrei bene anche delle audiocassette, per i nostalgici e per i super snob del low-tech

          1. (me ne stavo dimenticando, ho rimosso, sai, certe immagini sono un po’ troppo forti… prossimamente ne parliamo anche qui, non appena supero lo shock da “arredo urbano estremo”)

        1. per le cassette non hai che da chiedere, son fuori produzione ma io ne ho una discreta quantità, in cantina

    5. thanks ragazzi, mi sono commossa!!!!
      è stato un piacere conoscervi e avervi ospiti qui a casa….speriamo di rifarne di pranzetti….dai per la festa a settembre vi do una mano pure io!!!!
      è un bellissimo progetto il vostro, portatelo avanti!!! buon lavoro e buona fortuna….
      ONE LOVE!!!!!

      1. grazie a te che ci hai ospitato con così tanto calore… però la prossima volta anch’io voglio il calco!!!

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