Fragole amare

    Sull’ultimo numero di Napoli Monitor c’è un articolo che descrive in maniera efficace ed empatica le condizioni di lavoro nelle serre del salernitano. Si parla di donne, lavoratrici, madri, di famiglie impegnate in lavori durissimi e sottoposte a modalità lavorative prive di tutele e al di fuori di ogni legalità.

    Questi brani che qui riporto sono da leggere come prolungamenti o ramificazioni (quasi delle voci che raccontano una stessa storia ma con un accento diverso) di un discorso iniziato leggendo l’intervista su Wilfing Architettura a Marco Omizzolo, un sociologo che ha studiato sul campo la vita dei lavoratori sikh impiegati in agricoltura nell’agro pontino.

    Quello che mi ha colpito nell’articolo di cui riporto alcune parti è il sistema di compravendita dei contratti di lavoro, un sistema perverso e nascosto, ma alla fine che tutti conoscono e sfruttano, che consente agli imprenditori agricoli di guadagnare due volte: la prima pagando pochissimo il lavoro della manodopera, la seconda vendendo agli stessi lavoratori contratti per prestazioni mai effettuate. E in tutto questo il lavoratore ottiene un po’ di contributi per la futura pensione e qualche soldo per sopravvivere nella stagione invernale.

    La Campania e prima in Italia per la produzione di fragole e copre il 35% della produzione nazionale. 67.000 tonnellate all’anno, più della metà prodotte nella sola zona di Battipaglia, a pochi chilometri da Salerno. Qui si coltiva soprattutto in coltura protetta. Migliaia di lavoratori italiani e stranieri. La manodopera e stagionale, spesso prestata a nero alla luce del sole cocente, lontana dai salotti sindacali e “intermediata” da barbari caporali.
    A raccogliere le fragole sono sempre donne, ragazze e adulte, una cinquantina per ogni serra. Agli uomini invece spetta il compito di caricare le casse sui furgoni diretti nei mercati ortofrutticoli di mezza Italia. Le braccianti arrivano da diversi paesi del napoletano e del salernitano: Nola, Palma Campania, Salerno, San Giuseppe Vesuviano. Ci arrivano attraverso una rete di caporali distribuita a macchia di leopardo sul territorio provinciale. Su richiesta delle aziende, a seconda dell’andamento del raccolto, si contattano le braccianti e si organizzano squadre di lavoro da dieci o dodici. Sulla paga giornaliera di ognuna al caporale spettano sei euro. È il costo della sua illecita attività di intermediazione per ogni singola unità di lavoro. Prima che inizi il raccolto le braccianti devono inoltre decidere se accettare o rifiutare l’ingaggio: 27 euro con contratto e 41 senza. L’ingaggio ovviamente costa e, se lo si vuole, bisogna pagarselo di tasca propria accettando una paga da fame.
    […]
    Condizioni di lavoro in deroga a qualsiasi norma in materia di legislazione sul lavoro; ritmi di lavoro serrati ai limiti della sopportabilità; aggressività, sopraffazione e umiliazione. Questo è ciò che resta impresso del lavoro in agricoltura nella memoria di Giovanna e di tante altre come lei costrette a vendere le proprie braccia per pochi mesi all’anno in cambio di quattro spiccioli. Alzarsi all’alba per lasciarsi succhiare il sangue da imprenditori e caporali. Riempire le bocche degli italiani un frutto dietro la cui dolcezza si nasconde l’amaro del sudore che bagna le labbra di chi lo raccoglie.
    […]
    Qui i contratti di lavoro agricolo sono in vendita come qualsiasi altra merce e sono contratti per prestazioni di lavoro praticamente inesistenti.
    […]
    Il tariffario stilato dai proprietari terrieri è il seguente: 700 euro per 51 giornate di lavoro l’anno e 1300 euro per centodue giornate. A queste cifre bisogna poi aggiungere il costo dei contributi che il datore di lavoro è tenuto a versare nelle casse dell’Inps, ai quali però provvede lo stesso acquirente. Al lavoratore, dopo aver maturato una serie di requisiti specifici, spetta poi un’indennità di disoccupazione agricola per un numero di giornate pari a quelle lavorate e un’indennità di malattia. Quest’ultima, calcolata sul numero complessivo delle giornate di lavoro “mai prestate”, la si ottiene attraverso una meccanismo semplicissimo: basta inoltrare all’Inps, con la complicità del proprio medico curante, diversi certificati di malattia in modo da figurare malati per l’intera durata del rapporto di lavoro. Il favore viene poi ricambiato durante le elezioni, quasi sempre vinte da coalizioni capeggiate da medici di base.
    A questo sistema ricorre non solo chi lavora in nero in agricoltura ma anche altri lavoratori della galassia del sommerso: muratori, idraulici, elettricisti, imbianchini. E poi disoccupati, casalinghe. I costi delle indennità di malattia e disoccupazione sono a carico dell’Istituto di previdenza sociale. Con le due indennità l’acquirente, al netto delle spese per contributi e contratto, incassa 1000 euro netti l’anno e cumula i contributi di cui ha bisogno per una pensione che diversamente sarebbe difficile ottenere.

    (Gdo), L’amaro delle fragole, in “Napoli Monitor” n. 51 novembre/dicembre 2012.
    Il disegno che accompagna l’articolo è di Ottoeffe.


    8 thoughts on “Fragole amare

      1. Le riflessioni di Luciano Marabbello sono acute e stuggenti, mi colpiscono ancora di più leggerle in questi giorni in cui tutta l’attenzione è rivolta al “paesaggio industriale” del tarantino.
        Pensavo che, in modo molto diretto l’inchesta di Omizzolo e ancora di più il post di Luciano, mettono in relazione lo spazio abitato/urbanizzato con le pratiche produttive e sociali. L’articolo sule fragole non allude a trasformazioni del territorio ma non riesco a non pensare che la cultura della sopraffazione e dell’illegalità non abbia una sua precisa traduzione in fenomeni quali l’abusivismo e le discariche illegali.

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