Blu white washed

    Grande sconcerto nel mondo della street art.

    Blu, il nostro amatissimo, è stato invitato dalla MOCA di Los Angeles e dal suo curatore Jeffrey Deitch a realizzare un grande murales su una parete cieca del museo.

    Fatto sta che il curatore, una volta vista l’opera l’ha trovata “offensiva” per l’opinione pubblica losangelina e, in particolar modo, per le associazioni di veterani. L’opera, infatti, raffigurava (il passato è d’obbligo in quanto tutto è stato cancellato con una mano di bianco) delle bare coperte da biglietti da un dollaro a mo’ di bandiera americana.

    Conoscendo le opere di Blu, è chiaro che il tema sarebbe stato di denuncia, per cui questa ritrattazione del curatore è quanto meno da sprovveduti o da abilissimi esperti di marketing.

    In questo episodio si rivelano tutte le contraddizioni tra una street art che nasce dal contesto e non ha vincoli censori per definizione e un’arte istituzionale, come quella museale, ben più addomesticata e sottoposta alla censura esplicita ed implicita di gruppi politici, sociali o economici.

    A ribadire l’idea che l’arte “provocatoria” a cui siamo ormai abituati nelle sale dei musei va bene finchè mette nella formalina squali e non attacca i veri gruppi di potere.

    Ironico il commento di  Robbie Conal:

    “I thought the mural looked really good — I thought it was a cautionary tale about how much it costs to park downtown.”

    in Deborah Vankin, Blu says MOCA’s removal of his mural amounts to censorship, Los Angeles Time, December 15, 2010


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