Smart

    Quest’anno il famoso sito Edge (dal sottotitolo per niente rincuorante che recita “Per arrivare al limite della conoscenza del mondo, cerca le menti più complesse e sofisticate, mettile insieme in una stanza, e fa in modo che si chiedano l’un l’altra le domande che pongono a se stesse.”) pone una nuova domanda al fior fiore dell’intelligenza umana (sigh!) l’apodittica domanda: di cosa ci dovremmo preoccupare?
    Per ora ci sono 149 risposte e il tono è abbastanza apocalittico (le più divertenti e incomprensibili a volte sono quelle dei fisici) e molti si lamentano delle conseguenze di internet e dei social network sulle nostre fragili menti umane. L’effetto generale è che se va bene ci si trova di fronte a eccentrici luddisti, se va male a pericolose menti paranoiche. A me è piaciuto in particolare l’intervento di Sherry Turkle su come i device tecnologici potrebbero modificare le menti dei giovanissimi utilizzatori, ma lascio a voi la lettura.
    Capisco che tutto sia proiettato in un’ottica futura ma la prova che spesso queste persone intelligentissime non vivano propriamente sulla terra come il resto dei mortali è data dal fatto che quasi nessuno ha messo come preoccupazione IL LAVORO (quello che c’è, soprattutto quello che non c’è e come è cambiato e cambierà). O forse è semplicemente perché sono tutti affermati professori, psicologi e giornalisti e non vivono in Italia (tranne uno, forse).
    Tornando al tema della “smartness” che tanto ci attrae ultimamente, ho tradotto qui la “preoccupazione” di Evgeny Morozov, uno generalmente molto critico (ma guarda un po’) nei confronti delle nuove tecnologie.

    “Smart”
    Temo che, al crescere della potenza delle tecnologie in grado di risolvere problemi, diminuisca la nostra capacità di distinguere tra problemi importanti e banali o addirittura inesistenti. Solo perché ci sono soluzioni “intelligenti” per risolvere ogni singolo problema sotto il sole non significa che tutto meriti la nostra attenzione. In realtà, alcuni di essi potrebbero non essere affatto dei problemi; che certe situazioni sociali e individuali siano scomode, rumorose, imperfette, opache o rischiose potrebbe esserlo volutamente. O, come i geek amano dire, alcuni bug non sono bug – alcuni bug sono caratteristiche.Sono preoccupato per i costi invisibili delle soluzioni “intelligenti”, in parte perché i cani sciolti della Silicon Valley non mentono: le tecnologie non sono solo diventate più potenti, ma stanno diventando sempre più onnipresenti. Siamo abituati a pensare che, in qualche modo, le tecnologie digitali vivevano in una riserva nazionale di qualche tipo – prima, abbiamo chiamato questo luogo immaginario “cyberspazio” e poi ne abbiamo cambiato l’etichetta nel più neutrale “Internet” –, ed è solo negli ultimi anni, con la proliferazione di servizi di geolocalizzazione, auto in grado di guidare da sole, vetri intelligenti, che abbiamo capito che, forse, tali riserve nazionali erano un mito e le tecnologie digitali sarebbe state letteralmente ovunque: nei nostri frigoriferi, nelle nostre cinture, nei nostri libri, nei nostri bidoni della spazzatura.

    Tutta questa intelligente suggestione renderà il nostro ambiente più plastico e  programmabile. Sarà inoltre molto forte la tentazione di escludere ogni imperfezione –  proprio perché si può! – dalle nostre interazioni, dalle istituzioni sociali, dalla politica. Perché avere un costoso sistema di applicazione della legge, se si possono progettare ambienti intelligenti, dove non sono commessi reati semplicemente perché a quelli ritenuti “a rischio” – in base, senza dubbio, ai loro profili on-line –, è precluso l’accesso e non sono quindi in grado di commettere crimini nel primo posto? Quindi ci troviamo di fronte ad un dilemma: vogliamo qualche crimine o nessun crimine? Che cosa si perde, come democrazia, in un mondo senza crimine? Il nostro dibattito ne soffrirebbe, quando i mezzi di comunicazione e i tribunali non potrebbero più leggere le cause legali?

    Questa è una questione molto importante per cui ho paura della Silicon Valley, con la sua passione per l’efficienza e l’ottimizzazione, che potrebbe non arrivare subito. Prendiamo un altro esempio: se, attraverso la giusta combinazione di solleciti, gomitate e badge virtuali, siamo in grado di convincere la gente a essere “perfetti” cittadini – riciclare, presentarsi alle elezioni, curare le infrastrutture urbane –, dobbiamo andare avanti e sfruttare le possibilità offerte dalle tecnologie intelligenti? O dovremmo forse accettare che, in piccole dosi, rallentamenti e pigrizia siano produttive in quanto creano spazi e aperture, ai quali i cittadini possono ancora attirati grazie alla riflessione e agli argomenti morali e non solo attraverso la promessa di uno sconto commerciale migliore, per gentile concessione della loro applicazione smartphone?

    Se i risolutori di problemi possono spingerci a riciclare attraverso un gioco, si preoccuperebbero mai di seguire il percorso meno efficace di coinvolgerci in un ragionamento morale? La differenza, naturalmente, è che coloro i quali hanno guadagnato punti nel gioco potrebbero non sapere nulla del “problema” che stanno affrontando, mentre coloro che sono già passati attraverso la discussione e il dibattito hanno una piccola possibilità di cogliere la complessità del problema e fare qualcosa che conta negli anni a venire, non solo oggi.

    Ahimè, le soluzioni intelligenti non si traducono in risolutori di problemi intelligenti. In realtà, il contrario potrebbe essere vero: accecati dalla suggestione dei nostri strumenti, si potrebbe dimenticare che alcuni problemi e alcune imperfezioni sono solo i normali costi che derivano dall’accettare il contratto sociale di vivere con altri esseri umani, trattandoli con dignità, e garantendo, nella nostra recente ricerca di una società perfetta, di non chiudere la porta al cambiamento. Quest’ultimo di solito accade negli ambienti turbolenti, caotici, non perfettamente progettati; gli ambienti sterili, in cui tutti sono contenuti, non sono ben noti per l’innovazione, o per la varietà tecnologica e sociale.

    Quando si tratta di tecnologie intelligenti, non c’è una cosa come troppo “intelligente” e non è bello.


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