Venezia 2010> La Biennale ha fatto il suo tempo?

    Come vi avevo promesso, ho cercato post international da proporre alla vostra attenzione come fa l’Internazionale. Visto che non sono proprio una cima con le traduzioni ho pensato di iniziare con qualcosa di non troppo impegnativo. Siccome sto cercando un po’ di materiale per prepararmi alla visita della biennale di Venezia, mi sembrava utile partire da questo post di William Menking pubblicato su The Architect’s Newspaper.

    Rileggendolo penso che tradurlo sia stato abbastanza inutile in quanto alla fine il succo si riduce a una considerazione scontata: la biennale non serve a una cippa e costa pure una barca di soldi. Detto questo, quindi, potreste anche evitare di leggere il papiro maltradotto che qui è di seguito oppure potreste leggerlo per scoprire cosa c’è di veramente interessante nascosto tra le righe. Perché alla fine qualcosa di interessante c’è, o almeno io l’ho trovato, ma di sicuro il nostro Menking non lo dice chiaramente.

    Venezia 2010> La Biennale ha fatto il suo tempo?
    9.02.10 | William Menking
    La Biennale di architettura di Venezia 2010 si è chiusa Sabato, almeno per i rappresentanti dei media quando ai giornalisti è stato richiesto per la prima volta di consegnare i loro pass stampa ed entrare come semplici cittadini (biglietti, € 25).
    Odiavo rinunciare al pass che mi ha consentito l’accesso alle mostre, sia all’Arsenale che ai Giardini, sede dei padiglioni nazionali. Anche se Venezia non è certo una grande installazione militare ci sono dei canali della zona che sono inaccessibili per i civili; l’autista di un taxi d’acqua ha informato il mio gruppo che solo un permesso speciale ci avrebbe consentito di entrare nella canale, così ho mostrato il mio pass stampa e mi ha detto “va bene” e ci ha fatto risalire il canale.  Il potere della stampa!

    Ho passeggiato per la mostra di nuovo ma questa volta cercando di immaginare quale messaggio sarebbe stato comunicato al pubblico, piuttosto che ai professionisti. Ora non è più possibile parlare con i progettisti delle installazioni che erano presenti per aiutare a spiegare i loro progetti alla stampa. In una sala dell’Arsenale, per esempio, era stato creato un elaborato studio di registrazione in cui Hans Ulrich Obrist ha teatralmente intervistato dal vivo i partecipanti alla Biennale durante il vernissage ma ora c’erano solo i volti silenziosi degli intervistati su solitari schermi piatti con le voci accessibili tramite cuffie.

    L’installazione incredibilmente elegante Air: Studio per la Chateau Coste dell’architetto giapponese Junya Ishigami era ancora lì, il momento saliente della premiazione che è stato poi, come abbiamo riferito, buttato giù da un gatto scatenato la notte prima dell’apertura. Ora, mentre si cammina vicino all’opera, si ha davanti una grande sala spoglia con frammenti di monofilamento sparsi sul pavimento, il semplice ricordo dell’installazione che ha vinto il Leone d’Oro per il miglior progetto in mostra. Piccoli gruppi di operai stanno cercando di capire come ricollegare l’opera, mentre davanti a un computer, circa cinque smanettoni cercano di capire come rimetterlo insieme prima della fine della Biennale. Mentre i visitatori passano, chiedendosi cosa sia tutta questo casino.

    In effetti, la Biennale di Venezia, come ogni mostra di architettura, comunica con due tipi di pubblico tra i quali curatori e direttori devono sempre mediare: la comunità professionale e accademica dell’architettura, tra cui la stampa specializzata, e il pubblico, in particolare i giovani studenti italiani ed europei. Questo problema di come mostrare l’architettura a pubblici diversi è ovviamente un problema di qualsiasi mostra di architettura, ma a Venezia assume un ulteriore significato perché gli architetti hanno guardato alla Biennale come l’evento più sperimentale e di tendenza nel mondo dell’architettura. Eppure i suoi curatori – dalla prima di Vittorio Gregotti (“A proposito del Mulino Stucky”) fino a quella di quest’anno Kazuyo Sejima (People Meet in Architecture), affermano di pensare prima cosa al pubblico quando creano le loro biennali. Il che li porta sempre ad essere accusati dalla stampa di settore di elitarismo e mancanza di interesse per il pubblico. Il problema di come esibire l’architettura in una mostra non è di facile soluzione, ma la critica più spesso si concentra sull’enfasi che ogni Biennale dedica alle installazioni pseudoartistiche piuttosto che sul tentativo di misurarsi seriamente con le importanti questioni dell’architettura e dell’urbanistica di oggi.

    Gregotti, per esempio ha sostenuto che quando si tratta di presentare l’architettura “comunicare con il pubblico è praticamente impossibile”, ma poi ha fatto la prima Biennale, in cui affermava: “Ho voluto fare una dichiarazione chiara e certa che la Biennale è aperta al pubblico, a Venezia e per i non specialisti. “Anche il curatore della famosa mostra Strada Novissima in Arsenale del 1980, Paolo Portoghesi, ha affermato allora che l’architettura aveva perso la sua capacità di “parlare alla gente comune”. Ma questa mancanza di comunicazione è stata all’origine della creazione delle sue scenografiche facciate che coprivano entrambi i lati del Arsenale. Le migliori mostre di architettura, secondo il presidente della Biennale Paolo Baratta, sono quelle più teatrali e divertenti. Ma è altrettanto vero che le migliori sono quelle che ispirano senza tenere prediche.

    Come se la cava sotto questo aspetto la Biennale 2010? Si tratta della quarta Biennale di Venezia a cui ho partecipato e quest’anno sembravano esserci anche più installazioni artistiche di prima. Per lo più, si concentrano sulla natura del progetto per ispirare le persone a riconoscere il potere dell’architettura. Ma allora la domanda è se il progetto, in assenza di urbanistica, è architettura o solo design? La cosa importante circa la Biennale è che per tutti c’è sempre qualcosa da amare (o odiare), indipendentemente dalla loro posizione. Il padiglione nazionale del Regno del Bahrain costituito da vere baracche tagliate a mano e importate per la mostra e giudicato il migliore dai giurati della Biennale, ha dimostrato che le idee e i problemi dell’architettura possono essere visualizzati in un ambiente espositivo. In tutti gli spazi espositivi della Biennale sono stati, infatti, molti gli esempi di idee di architettura in mostra che non hanno avuto bisogno di ricorrere alle strategie della pratica artistica.

    Va osservato che fra chi si lamenta a cadenza biennale – per i quali le opportunità abbondavano in quelle strutture come la bolla gonfiabile del berlinese Raumlabor, la rivista Volume del padiglione olandese, e le serate di Robert White del Dark Side Club – le preoccupazioni sul costo e l’esclusività del suo messaggio sono diventate sempre più pressanti. C’erano molte persone che riflettevano che la forma Biennale potrebbe avere fatto il suo tempo e dovrebbe essere abbandonata. Parte di questo è un riflesso della ubiquità della comunicazione e delle immagini sul web, ma è anche la sensazione che sarebbe meglio spendere i soldi per risolvere problemi più impegnativi, come la povertà e gli alloggi a prezzi accessibili. So per esperienza che allestire una biennale in un padiglione nazionale ha un costo superiore a 400 mila dollari, e si vocifera che quest’anno il costo del padiglione austriaco è costato più di 800.000 dollari, mentre i tedeschi al loro padiglione hanno mostrato solo disegni e questo costa ancora 650.000$. Se si sommano tutti i padiglioni, l’Arsenale, i Giardini, per non parlare delle feste e dei biglietti aerei, questo è un affare che si aggira tra i 20 e i 30 milioni di dollari, una festa sempre più frivola della durata di due mesi. Per quanto tempo ancora ce lo potremo permettere?


    28 thoughts on “Venezia 2010> La Biennale ha fatto il suo tempo?

    1. a me sembra eccessiva l’idea di abbandonare la formula della biennale, rimane un happening importante, non l’unico, non il solo. ma divertente. perché privarcene?
      i costi si possono ritoccare, ma trovo significativo, oltre che populistico, che l’autore scriva che c’è “la sensazione che sarebbe meglio spendere i soldi per risolvere problemi più impegnativi, come la povertà e gli alloggi a prezzi accessibili.” Il richiamo all’impegno sociale è facile.

      ci sono diverse cose, nell’articolo: ma qual è quella veramente interessante nascosta tra le righe, rem?

    2. Anche quest’anno mi hanno proposto il biennale pellegrinaggio veneziano.
      Semmai ci andassi sarebbe più o meno così:

      L’ANDATA: ..eccoci entrati in questo sfavillante luna park montato in sequenza ,intuisco che tutto quell’ambaradan di plastici ed installazioni è ciò che “tira” insomma visualizzo il trend ed ancora una volta ahimè le trendystar .

      IL RITORNO… tanta saccenza mi fa venire (puntualmente) una ubriacatura triste..

      PROLOGO.. Questi signori che espongono mi fiaccano e nessuno mi ripaga per questa stanchezza ….datemi santelia, datemi soleri, datemi corbu, datemi…L’ESSENZIALE

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