Balconi tondi, anzi, un po’ ovali

    L’ultima volta che ci eravamo visti con Francesco Giorgino è stata a Grottaglie ed eravamo entrambi in evidente difficoltà atletica a scavalcare altissimi muri di tufo per intrufolarci in un ex-convento convertito in museo in progress di street-art. Da allora non abbiamo avuto molte occasioni di incontrarci e abbiamo seguito la sua discesa nel campo dell’arte con interesse e curiosità. Francesco ci aspetta nel suo studio pescarese, che divide con altri tre colleghi architetti, e ci racconta, con il suo modo rilassato e solare, gli ultimi impegni, ci mostra le magliette che disegna a mano con il suo segno inconfondibile e ci parla dei futuri progetti artistici in cui è sempre di più coinvolto.

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    Iniziamo dal nome, visto che non so mai come chiamarti: Francesco, Giorgino o Millo?
    Tutto è nato dal fatto che quando metti il mio nome, “Francesco Giorgino”, su Google escono pagine e pagine sul giornalista di Rai 1. Millo viene dal mio secondo nome Camillo. Mi chiamo Francesco, il nome del padre di mio padre, e Camillo, il padre di mia madre.

    Però ti firmi Millo come artista.
    Come nome mi piaceva, e poi mi piaceva esteticamente come si scrive, M I L L sembra quasi una cifra romana. Quando ho iniziato, dopo l’università, mia nonna materna mi ha regalato la fede di mio nonno, infatti per un periodo andavo in giro con la fede e tutti mi chiedevano se mi fossi sposato. Siccome è coinciso col momento in cui ho iniziato a fare queste cose, mi è venuto in mente di firmarmi Millo.

    Adesso non la indossi?
    Ce l’ho a casa, l’ho messa per 5 o 6 mesi e poi ho smesso.

    Onde evitare di bruciarti tutte le possibilità di adescare giovani fanciulle ben intenzionate… L’ultima volta che ci siamo incontrati ti ho lasciato che eri un architetto, e ora, cosa è successo?
    Mi sono sdoppiato, sto lavorando sempre di meno come architetto ma non posso smettere perché con queste cose non posso ancora viverci. Mi capita di vendere un quadro oppure qualche maglietta, magari di fare un’installazione o una serata, ma non basta, diciamo che ci pago l’affitto a Pescara.

    Il tuo è uno strano percorso perché la maggior parte degli architetti che conosco fanno gli architetti per passione e poi altri lavori più remunerativi per campare, tu, invece, fai esattamente il contrario.
    Per ora, spero che le cose migliorino, per esempio sto preparando con Marco Mazzei  e Silvia Settepanella una mostra da Thomas, un locale in centro, magari riesco a vendere qualcosa…

    Quando è nata questa tua passione per il disegno?
    L’ho sempre avuta. I primi regali che ricordo erano matite, penne, colori, pastelli, evidentemente i miei si erano accorti che avevo questa passione.

    Sei un autodidatta o hai avuto una guida?
    In generale sono autodidatta. L’unica volta che ho fatto delle lezioni è stato quando avevo 12 anni e mia madre aveva chiesto a un’amica, che aveva fatto l’accademia, di farmi fare una specie di doposcuola di pittura per circa un anno, ricordo che era il tempo prima della prima comunione, andavo ancora a catechismo.

    Questa passione l’hai poi messa un po’ da parte?
    Sì, anche se in realtà, inconsciamente, ho sempre continuato a disegnare. Qualche tempo fa i miei compagni di classe mi hanno ricordato che a scuola, il liceo scientifico,  non seguivo niente, non facevo altro che disegnare. All’università ho continuato così, se rivedo i quaderni degli appunti di Storia sono pieni di disegni, dalla prima pagina all’ultima. Per fortuna sono riuscito a incanalare questa passione negli esami compositivi, per me erano dei veri sfoghi creativi.

    È diverso il disegno per l’architetto e per l’artista?
    È diverso il pensiero che c’è dietro. L’idea nasce da esigenze diverse, però se vedi questo disegno qui (ci indica la tela che ha alle spalle), uno degli ultimi che ho fatto, è pensato secondo dei layer. Prima ho fatto le nuvole e mi ricordano le folies del Parc de la Villette

    Quindi architettura e disegno si incrociano molto nei tuoi disegni?
    Ultimamente sempre di più, soprattutto come visioni. A parte i personaggi che li popolano, raccontano un po’ il paesaggio contemporaneo attraverso queste viste dall’alto, un po’ come nel disegno che ho fatto per l’articolo di Monica Maggi per la rivista Mezzomagazine.

    Tornando al tuo corso di studi, dopo la laurea in architettura hai iniziato subito con la professione?
    Esperienze terribili. La peggiore di tutte è stata giù, in Puglia, perché ho beccato il peggior costruttore che possa capitare nella carriera, il tipo che magari vince il superenalotto e decide di fare il costruttore senza saperne nulla. Già l’italiano medio non sa cos’è l’architettura perché nè la televisione nè i giornali ne parlano, nell’immaginario collettivo architettura vuol dire la casa col geranio. Per questo costruttore dovevamo fare una semplice palazzina. Il progetto degli interni l’abbiamo fatto in circa una settimana, poi siamo stati un anno e mezzo sulle facciate. Era il primo progetto da realizzare e volevamo che avesse un certo impatto estetico, come minimo che sembrasse contemporaneo. Abbiamo provato a sfalsare le finestre e questo: “No, a me piace la simmetria”. Poi abbiamo iniziato a combattere per i balconi, prima con la ringhiera, poi con la lamiera stirata, poi i brise-soleil. Alla fine, dopo un anno, abbiamo trovato un punto d’accordo raggiunto per sfinimento e perché dovevamo consegnare a tutti i costi. Prima di aprire il cantiere serviva un disegno da mettere sul cartellone e lui mi ha preso da parte e mi ha detto: ” Vabbè, architè, mo’ metticelo un balcone rotondo, ma non proprio rotondo, un po’ ovale.” Là ho ceduto, è inutile combattere. Dopo ho avuto esperienze un po’ più normali, ma questa è stata proprio una botta.
    Continuo a progettare, ora mi sto specializzando in recupero di edifici storici soprattutto giù da me, in provincia di Brindisi.

    Quando hai deciso di dedicarti a fare l’artista?
    Forse quest’idea c’è sempre stata fin dall’adolescenza ma si era come assopita. Ricordo che a 16-17 anni mi è capitato di vedere un documentario su H.R. Giger ed era intervistato un ragazzo, un architetto, che faceva il suo assistente. Ricordo che stava progettando una specie di fucile spaziale in 3d, era il 1992, e raccontava che lui era contento perché riusciva a esprimersi molto più che facendo l’architetto. Mi è rimasto impresso anche se da allora non mi è capitato più di rivedere quell’intervista.
    Anche mia madre mi faceva sempre esempi di artisti che sono anche architetti, persone che facevano uno e l’altro. Poi quadro dopo quadro l’idea si è sempre più affermata. La prima tela che ho fatto è quella lì (una tela monocroma con un grande ratto e una scritta), l’ho fatta dopo un evento personale traumatico, è stato fatto in una notte come puro sfogo. Dopo quello sono passati mesi prima che ne facessi un altro, non avevo un progetto in mente, poi ho iniziato a ricevere segni di interesse per i miei disegni, hanno iniziato a chiamarmi a fare delle cose finché sono stato selezionato per il catalogo del Premio Celeste. È stata una cosa inaspettata, avevo mandato il curriculum senza pensarci più da tanto. Poi per caso ho scoperto di essere tra i primi 50 e allora ho iniziato a credere di più nelle mie possibilità.

    Invece, qual è l’ultima cosa che hai fatto?
    Nell’ultimo mese ho fatto molte cose: ho fatto delle serate a Roma dove ho realizzato questi teli durante degli eventi di musica e fotografia, delle specie di rave…

    In pratica invece della cubista c’eri tu che dipingevi…
    Poi ho fatto un evento al Postbar, anche per lanciare le magliette (le magliette della serie Ta-rock). A Salerno ho partecipato a questo evento che si chiama Lumen, per il quale hanno stampato due miei disegni su un pannello lenticolare, quei supporti che se li vedi da un lato presentano un’immagine e se li vedi dall’altro ne vedi un’altra.
    La scorsa settimana, invece, alla Microgalleria ho fatto una mostra di video e prossimamente dovrei tornare ad Ancona alla mostra PopUp dove già ho esposto l’anno scorso e dove dovrei esporre un video.

    In generale mi sembra che tu abbia una forte attitudine all’illustrazione e che ti piaccia sperimentare supporti diversi, tela, stencil su muro, carta, stoffa… qual è quello che senti come più congeniale a te?
    Su tela è un lavoro sempre molto personale, quasi un’esperienza meditativa. In realtà anche quando sto a disegnare di fronte a centinaia di persone mi isolo e quasi non mi a accorgo di chi mi sta intorno, entro quasi in trance. Quando lavoro in strada è più una performance e, per il fatto di essere all’aperto, in un luogo pubblico, c’è il vantaggio che l’opera può essere vista da molta più gente.

    Qui a Pescara hai fatto qualcosa?
    Ho disegnato un grande tsunami dietro al Tipografia, dalle parti del cementificio, in occasione della mostra organizzata da Industrial Wallz.

    Tra i tuoi progetti qual è quello che ami di più?
    In questo momento la mia ricerca estetica si basa molto sulla sintesi dei segni, degli oggetti, dei personaggi, ci sto lavorando a 360 gradi spaziando su supporti e dimensioni diverse. È il tentativo di trovare un linguaggio che mi appartenga veramente, al di là del supporto o della tecnica. Le prime tele che ho fatto le vedo mie come contenuti ma esteticamente mi sembrano vecchie. Mi sembrano i primi tentativi di una ricerca personale che è ancora in corso. Oggi lavoro in modo molto più istintivo, quei lavori sono molto elaborati, ho impiegato settimane prima al computer e poi a dipingere sulla tela.

    Sono realizzati a stencil?
    Alcuni, altri sono fatti dipingendo direttamente, per altri ancora ho usato la lavagna luminosa.

    Quando hai bisogno di ispirazione cosa fai?
    Niente, ultimamente ce l’ho, non mi manca.

    C’è qualcosa  di curioso che ti è capitato mentre facevi queste tue performance?
    Mentre dipingevo una tela in un locale si è avvicinato un tipo e mi fa: “Ti posso pisciare sul disegno?” Lì per lì l’ho guardato storto, ha capito che aveva esagerato. In realtà, poi me l’ha spiegato chiedendomi scusa, voleva dirmi che i palazzi rappresentati gli sembravano così reali che in caso di bisogno ci avrebbe pisciato sopra. Ovviamente era ubriaco.

    Sono i pericoli di questo duro mestiere. Per conoscerti meglio, dicci quali sono i siti che vedi più spesso.
    Prima stavo sempre su Flickr, ora cerco di stare meno possibile davanti al computer, soprattutto nelle fasi creative. Un sito che vedevo spesso è Bewareoftheblog, è strano e ci capita di tutto, mi piace per questo. Ora seguo spesso Ziguline.

    Quale musica ascolti?
    L’ultimo degli Arcade Fire mi piace parecchio, da loro traggo molta ispirazione, soprattutto per i loro testi che spesso inserisco nei miei disegni. Mi piacciono anche i Band of Horses, mentre di italiani, Lou X, C.U.B.A. Cabbal, Umberto Palazzo, Alessandro Gabini, soprattutto perché sono di Pescara e li conosco personalmente. Altri che ascolto sono Le luci della centrale elettrica e Il teatro degli orrori.

    Riviste?
    Prima me le compravo tutte, Domus, Casabella, El Croquis, ora preferisco comprarmi queste monografie che costano poco (mostra la monografia di Basquiat della Taschen).

    Libri preferiti?
    Il giro del mondo in ottanta giorni, il primo libro che ho letto, e poi Burned Children of America, una raccolta di racconti delle Minimum Fax, poi, Un segno invisibile e mio di Aimee Bender. Era il periodo in cui leggevo i libri di J.T. Leroy prima che si scoprisse la truffa, una grande operazione di marketing. Mi è piaciuto anche il film di Asia Argento con la colonna sonora di qualcuno dei Sonic Youth…

    Come sei rimasto quando hai scoperto il bluff?
    Di cazzo.

    Fan deluso… e la televisione, la segui?
    No, sono il tipico esempio di quello che si ritrova a canale 999 dopo un quarto d’ora di zapping. Da quando sono usciti i televisori col satellite è stata la fine perché intanto che cambi canale passa mezz’ora. Di giorno mi vedo i telegiornali e la notte questi programmi che mandano repliche e vecchi spezzoni degli anni Settanta.

    Film?
    Ultimamente ho visto Machete, ma mi sono addormentato, altrimenti il mio film preferito di tutti i tempi è Clerks di Kevin Smith.

    Una città in cui vivresti?
    Roba di Brasile, San Paolo o Rio de Janeiro, mi piacciono le città col sole e il mare, una grande Pescara, se Pescara fosse una città divertente.

    A Pescara come ti trovi a vivere?
    Mi è sempre piaciuta, ci sto qui dal ’97, ha una dimensione umana.

    Quali sono le qualità che servono per il tuo lavoro, quali quelle che pensi di a vere e quelle che, invece, ti mancano?
    Non credo sia la tecnica, quanto sapere cosa raccontare. Mi ricordo che da piccolo andavo da mia madre e le chiedevo: “Non so cosa disegnare”, e lei mi diceva che dovevo solo aspettare, da grande avrei saputo cosa fare. Ci sono molti artisti che sanno disegnare ma non hanno niente da dire e rimangono lì, forse anch’io rimarrò così…

    Beh, stai sbocciando or ora, mettiti alla prova… una qualità che vorresti avere?
    Saper fare più autoproduzione, riuscire a stare  nelle situazioni giuste, fare il manager di me stesso oppure, potemmo dire, fare di più “la mignotta”. Al mio paese si dice ” vale di più avere la faccia tosta che avere una masseria”, me lo dice sempre mia madre…

    E ti stai forzando a farlo?
    In alcune situazioni lo faccio, sforzandomi. Magari stai dipingendo e non hai voglia di stare a parlare con tutti. Fare pubbliche relazioni è quello che mi manca. Non è indispensabile ma potrebbe accelerare molto il percorso.

    Cosa ti aspetti dal tuo futuro?
    La speranza è quella di trovare la stabilità economica e riuscire a entrare in un sistema che mi dia la tranquillità per continuare a lavorare. Potrebbe essere utile anche affiancarmi a persone che sappiano gestire la parte della comunicazione.

    Cosa ti preoccupa, invece, del futuro? Cosa ti tiene sveglio la notte?
    Ultimamente dormo, sto molto più tranquillo da quando disegno. Se devo pensare a una preoccupazione mi capita che se sto in macchina e sto andando a un evento ho paura di fare un incidente e di non arrivare, cose paranoiche, poi mi dico, non me ne importa niente, devo arrivare lo stesso. Diciamo che in generale in questo periodo sono abbastanza spensierato.

    Ci fai il nome di amici che vorresti farci conoscere?
    Molti già li conoscete, ti consiglierei Alessandro Gabini, musicista,  ha fatto questo disco che si chiama Cane e ora fa il turnista con Cristina Donà; Sandra Ippoliti, anche lei cantante; questi ragazzi che fanno musica postrock e si fanno chiamare Death Mantra for Lazarus per i quali ho fatto un video; Claudia Ferri, una fotografa molto brava; Marco Antonecchia, artista; Fabrizio Mammarella, Andrea di Cesare; Leo Margiotti e Andrea Straccini di Mezzomagazine e, per finire, Stefano D’Incecco.

    Links:
    http://millotheblog.tumblr.com


    38 thoughts on “Balconi tondi, anzi, un po’ ovali

        1. moggi-maggi… il tuo essere adorante ti porta a picchiettare selvaggiamente sulla tastiera e questi sono gli effetti…
          :-)

          ps. anche noi adoriamo MM (vedi così non puoi sbagliarti)

          1. anche io adoro MM, ma non la MM (è sporca, puzza e a mezzanotte chiude). e tra poco ricorre l’anniversario della bento-marathon.
            e mi piacciono molto anche i lavori di millo, super la bjork-shirt.
            bravo lui e bravi voi

    1. ” Mi sono sdoppiato, sto lavorando sempre di meno come architetto ma non posso smettere perché con queste cose non posso ancora viverci. Mi capita di vendere un quadro oppure qualche maglietta, magari di fare un’installazione o una serata, ma non basta, diciamo che ci pago l’affitto a Pescara. ”

      …con questa frase ho visto i miei sogni…

    2. Pingback: millo

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